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Bontà nostra

L’uomo è buono o cattivo? Rendiamola più sofisticata: l’essere umano è tendenzialmente cooperativo e solidale oppure competitivo ed egoista? Sembrano domande infantili, ma come tutte le domande infantili sono anche le più profonde. Infatti, se andiamo all’osso dei concetti espressi da chi desidera cambiare lo stato di cose presente e l’organizzazione complessiva assunta, nei suoi tratti salienti, dalla civiltà globalizzata, troviamo sovente sillogismi come: è l’era del trionfo dell’individualismo (il neoliberismo ha sdoganato e legittimato le energie più aggressive e predatorie dell’uomo), quindi c’è stata una mutazione antropologica della nostra specie. È  vera la premessa, ma è fallace la conclusione. O quantomeno insufficiente se vogliamo davvero comprendere le dinamiche in atto e le forze con cui dobbiamo confrontarci. Non c’è dubbio che la retorica, se non addirittura la mistica turbo-capitalista (con il suo culto per la competitività, la divinizzazione dei mercati, i dogmi del controllo del deficit e del debito), è il format ideologico trionfante dell’era attuale: l’Evo Competitivo.

Nello stesso tempo, non vi è stata, ancora, alcuna mutazione antropologica. Pensarlo, ci porta fuori strada ed è fuorviante, perché falsa la nostra prospettiva. Rischia, infatti, di farci credere che l’alternativa al modello vigente, e cioè un’economia solidale, l’equità sociale, la redistribuzione equilibrata delle risorse, la compartecipazione collettiva alle decisioni della “polis” sia la regola da cui il neoliberismo di Von Hayek e l’ordo-liberismo di Roepke (due facce di una stessa medaglia) hanno deviato all’improvviso, incarnandosi in una spietata eccezione. In ultima analisi, questo paradigma si traduce nella convinzione che l’uomo sia intimamente buono – tanto per tornare alla domanda iniziale – e solo incidentalmente cattivo. E la società sarebbe un modello di cooperazione operosa se non fosse stata traviata dagli imperativi categorici, e disumani, della globalizzazione  e delle voraci dottrine liberali. Rousseau sottoscriverebbe questa impostazione, ma Rousseau era, o fingeva di essere, un ingenuo. La realtà – se ci guardiamo alla spalle – è che l’intera storia dell’uomo è uno scannatoio ininterrotto di brutalità e sopraffazione da cui, un poco alla volta, episodicamente e per fortuna, sono emersi e si sono affermati anche modelli differenti ispirati da (e indirizzati a) una forma superiore e illuminata di umanità. Insomma, l’uomo è anche buono, ma molto più spesso si è dimostrato cattivo.

Dobbiamo disperare? Tutto il contrario. L’attuale impero finanzio-centrico, è l’apogeo di una forma mentis – quella dell’homo homini lupus – che ha spesso trionfato nelle epoche trascorse e oggi si trova al suo acme, ma ha gli anni contati. La notte non è mai così buia come alle soglie dell’alba. Ma l’alba non è mai così vicina come al culmine della notte. Ergo, la mutazione antropologica non è negativa (da buono a cattivo) e non l’abbiamo alle spalle. È positiva (da cattivo a buono) e si staglia davanti a noi. Dobbiamo solo capire che un’organizzazione radicalmente diversa delle relazioni umane, sul piano economico, politico e sociale, vincerà non perché l’attuale Sistema è un incidente della storia, ma all’opposto:  perché sta finalmente giungendo a maturazione un’umanità diversa. Una umanità solo occasionalmente, e troppo raramente, manifestatasi in passato.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com

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