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A Me Gli Allocchi

allocchiDalla Cina, con furore, arriva la nuova frontiera della manipolazione tecnologica applicata alle masse. Un comunista – quindi un cinese, verrebbe da dire, dato che i cinesi almeno ufficialmente sono ancora comunisti – preciserebbe: manipolazione tecnologica capitalistica applicata alle masse lavoratrici. Ma poco importa. Conta il concetto. E il concetto è che hanno inventato un berretto ‘monitora-emozioni’. Si tratta di un casco-cappello dotato di elettrodi e calato sulla zucca agli operai per registrarne –  attraverso un sofisticato sistema di sensori collegati via wireless a un server centrale –  le onde cerebrali. In altre parole, esso ‘cattura’ direzione e intensità di pensieri e stati emotivi in modo da mantenere sempre efficiente e produttiva la catena della produzione. Come? Chissà, magari intervenendo su chi è distratto o depresso, concedendogli una pausa caffè, oppure con modalità più sottili e ‘persuasive’. La notizia ci dimostra come il famoso progresso va ormai talmente di fretta da oltrepassare persino le previsioni degli autori di fantascienza; e anche i timori delle cassandre che intravedono, oltre il velo opaco del futuro, un mondo dove non solo pochi uomini dominano su tutti gli altri (in quel mondo, dopotutto, già ci abitiamo), ma poche macchine imperano sugli uomini tutti. E però, c’è un altro aspetto meno evidente, ma altrettanto inquietante nella news di cui sopra. Ci riferiamo al fatto che il cappello-cattura emozioni non è un’esclusiva dell’Impero Celeste; esiste già, da tempo, nel cosiddetto Occidente libero. Ed è un cappello addirittura più efficace  di quello approntato dagli eredi di Mao. Ha una serie di optional aggiuntivi mica da ridere. Per esempio, è invisibile e non si limita a monitorare le emozioni in un soggetto bersaglio, ma addirittura le induce. Di cosa stiamo parlando? Del condizionamento psichico, persistente e massivo, operato dai vettori dell’odierna cultura popolare. Essi agiscono attraverso le parole d’ordine coniate e diffuse dai telegiornali, tramite i temi messi in agenda dalle trasmissioni di massimo ascolto, per mezzo delle nuove categorie di pensiero plasmate dai format televisivi alla moda. Pensate a certe tematiche o a talune password semantiche ossessivamente riproposte, a tamburo, a dispetto della loro effettiva importanza o ad onta della loro dubbia verità: dal debito pubblico alle aspettative dei mercati, dal populismo al femminicidio, dal razzismo all’antifascismo, dalle fake news alla post verità, dalla crescita alla ripresa, dalla competitività alle quote rosa. Cos’hanno in comune queste ‘cose’? Apparentemente nulla, sul piano lessicale. In realtà, tutto, sul piano simbolico e della potenzialità evocativa. Sono induttori di emozioni, anzi veri e propri ‘cappelli’ (invisibili) creati con l’obbiettivo, non dichiarato ma esclusivo, di irreggimentare le nostre menti in modo da farle vibrare in sincrono con le onde del  diapason mass-mediatico e secondo una modalità duale e primitiva del tipo ‘bianco o nero’, ‘giusto o sbagliato’. Quindi siamo come gli operai cinesi? Forse peggio. Almeno –  quelli – il cappello sanno di averlo.

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