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A scuola dagli scolari

Piccoli cervelli crescono. Dopo la bimba delle elementari che fa la petizione a favore di Gesù, abbiamo quella delle medie, di una scuola di Roma, la quale – di fronte al titolo paraculo di un tema (‘siamo tutti stranieri’) – ha messo nero su bianco, con la sua tonda, adolescente grafia, dei concetti rivoluzionari. Tipo: “Non sono d’accordo, perché i confini esistono, le bandiere esistono, l’amore per la Patria esiste”. Concetti di una verità profonda e rivoluzionaria. Così come, oggi, è rivoluzionario cantare la canzone di Bennato –  ‘Viva la mamma’ –  o propagandare la sacrosanta naturalità della famiglia tradizionale. E allora gli interrogativi aumentano, si affastellano, si intrecciano, in poche parole ci sfidano a trovare una risposta. Perché? Perché due ragazzine vergano altrettanti elzeviri degni della terza pagina del Corriere della Sera? Di più: due pezzi in grado di restituire intelligenza e freschezza e apertura mentale al settore culturale di tutti i Corrieri della Sera del mondo?

La risposta, forse, la possiamo trovare in un approccio ‘alla Rousseau’, applicato non alla storia universale dell’uomo, ma alla sua storia attuale, al modo in cui l’uomo – nell’era della globalizzazione spocchiosa e trionfante – viene formato (o meglio: tra-sformato) dalle più varie ‘agenzie educative’. Per il filosofo di Ginevra, l’essere umano nasce virtuoso e fisiologicamente sincero ed è poi  corrotto, reso ipocrita, dalla cosiddetta cultura e dalla cosiddetta civiltà, dalle scienze e dalle arti. Bene, potremmo riesumare questa visione – pur datata, viziata e limitata –  per usarla come grimaldello esplicativo degli odierni modelli pedagogici. Finiremmo per giungere a conclusioni simili a quelle di Jean Jacques, sia pure declinate in un contesto tutt’affatto differente. La globalizzazione non è solo un fenomeno contingente, un accidente della storia, un episodico snodo del disordinato corso degli eventi  scaturito da una pluralità di  cause cui bisogna adeguarsi con intelligente e opportunistica flessibilità. La globalizzazione è anche, se non soprattutto, un disegno politico e ideologico che risponde all’esigenza di creare, in vitro, l’uomo-massa, l’individuo monocromatico, svuotato di ogni radice e gettato nel mercato universale del chiacchiericcio vacuo di cui parlava Heidegger e del culto consumistico, del soggetto monodimensionale tratteggiato da Marcuse e  da Fromm.

Un tale progetto necessita di una nuova fede,  concepita e forgiata ‘a monte’ e poi sintetizzata ‘a valle’, sia nei prodotti pop televisivo-digitali a beneficio degli incolti sia nelle pubblicazioni prestigiose e nei media d’elite su cui si formano intere generazioni di accademici, scrittori, pensatori. Ecco perché è così difficile trovare luce intellettuale là dove si fabbrica la cultura. I pozzi sono inquinati e, in torrentizi rivoli, contaminano a cascata non solo il docente, ma anche il discente. E tuttavia, siccome certe evidenze, certe esigenze, certe verità sono, per così dire, pre-culturali, il giovane non ancora avvelenato del tutto è in grado di percepirle, ed esprimerle, di approdare, insomma, proprio dove il professore bocconiano non arriva. Compito di una nuova pedagogia, affrancata dagli schemi dominanti, è dunque quello di assecondare la naturale tendenza infantile al buon senso perduto. Certi scolari hanno molto da insegnarci.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com

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