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ARRIGO SARRI

sarriParliamo di calcio per distrarci. E anche come scusa per parlare d’altro che non sia proprio il calcio, o solo il calcio. Parliamo di Sarri, ad esempio, l’allenatore del Napoli, il quale sta conquistando i palati fini di tifosi ed esperti di mezza Europa attraverso la sua Idea di football. Un po’ come fece, a suo tempo, Arrigo Sacchi con il Milan degli olandesi o Pep Guardiola con il Barca di Messi o, nel Novecento, Rinus Michels con la mitica Olanda del 1974. Ma cos’ha di speciale, Sarri? Detto in modo banale, quel che aveva Arrigo (Sacchi): fa giocare bene la sua squadra; ma, in realtà, c’è molto di più e di meglio da sapere, e su cui riflettere, in proposito. Sarri non si limita a far giocare bene la sua squadra. In fondo, tutte le squadre –  nel corso di un campionato, e persino di una stessa partita –  giocano bene, magari occasionalmente, magari a sprazzi, magari a loro stessa  insaputa. Il Napoli, invece, forse non gioca bene sempre (anche se molto spesso sì), ma vuole giocare bene sempre. Questa è la cifra della grandezza della squadra azzurra e del suo allenatore provinciale (e Dio benedica i provinciali in quest’era di deliri metropolitani): che non ammette eccezioni e cedimenti sul piano della volontà applicata all’estetica. Su quello dell’estetica, a volte si concede una pausa: e infatti, episodicamente, il Napoli non dà spettacolo. Ma su quello della pretesa ossessiva e maniacale dell’eccellenza estetica no: il Napoli, e soprattutto il suo coach, vogliono la perfezione applicata al bello. Al punto da far pensare che il loro primo obiettivo non sia neppure la vittoria (che dovrebbe costituire il primum movens di ogni cimento agonistico), quanto piuttosto l’incarnazione, su un rettangolo verde, di quell’Idea Platonica di compiutezza calcistica ineguagliabile che ogni allenatore, di tanto in tanto e come una sporadica fiammata, cova dentro sé. E ogni allenatore (salvo le tre dita di una mano succitate), poi quest’Idea l’abbandona, sentendosene indegno. Sarri no, Sarri ha la presunzione di potercela fare. Ed è così cocciuto, così fanatico, così refrattario alla mediocrità, da riuscire nel suo intento prima o poi, presto o tardi. Perché Sarri – ed è questa l’altra meditazione in pillole che ci scappa fuori – era Sarri anche prima di diventarlo. Quando, cioè, la Gazzetta non parlava di lui a titoli cubitali e i maggiori club del continente non se lo contendevano a suon di milioni. La qualità di Sarri, insomma, prescindeva dal suo riconoscimento. Qualche anno fa, un famoso giocatore avversario (mi pare Eto’o) si presentò in conferenza stampa e, dalla vertiginosa altezza della sua fama mondiale, elogiò quel mister anonimo e occhialuto davanti a una platea di cronisti increduli. Per dire che i ‘vicini’ sapevano chi fosse Sarri anche quando lui stesso, forse, non sapeva di esserlo. Eppure, Sarri non smise di insegnare il suo gioco rivoluzionario e non avrebbe smesso mai, neanche se la Gazzetta avesse seguitato a ignorarlo. Eccolo, l’altro appunto per il nostro Taccuino dei Precetti Indimenticabili: la qualità –  così insegnava il grande Robert Pirsig –  non dipende dalla sua certificata evidenza. La qualità è. E basta. Dedicato ai milioni di Sarri sconosciuti che ‘allenano’ nel mondo rendendolo migliore di quanto non sembri.

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