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Il Babbeo Europeo

Il bombardamento mentale degli eu(ro)forici, in vista delle imminenti elezioni comunitarie, è cominciato. L’obiettivo è persuadere i cittadini del continente che l’Europa è un sogno ad occhi aperti, la terra promessa cosparsa di latte e miele, il paese delle meraviglie di Alice. Direte che è una missione impossibile visto che tutti gli indicatori, economici, statistici, sociali stanno lì a significare il contrario.

La vita stessa di milioni di persone è stata ridotta in poltiglia da tredici anni di moneta unica, le loro prerogative sovrane strappate a brani come i petali di un crisantemo, gli spazi di libertà ridotti ai minimi termini da una banda di burokrati vigili e occhiuti col povero cristo quanto servili e ossequienti con le lobbies bancarie e della grande finanza. E allora? Allora, pensa che ti ripensa, i volponi di Bruxelles hanno escogitato un piano in grande stile per convincere l’uomo medio, anzi mediatizzato, europeo che tutto va bene, madama la marchesa. Dal loro baule di trucchi, artifici, cappelli e coniglietti estrarranno una batteria di magie propagandistiche, che neanche Houdini. Da qui alla prossima primavera ne sarete inondati, quindi all’erta che c’è da tapparsi le orecchie e da turarsi il naso, ma anche da divertirsi. Il primo spot sta già passando in tivù e al cinema, in genere subito prima dei film di cassetta, tipo il trailer di un successone a venire. E’ interessante perché ci dice molto su di loro (i paladini comunitari e i loro mandanti), ma anche di su noi. E’ un’iconica allegoria di Eurolandia, la narrazione, in un frame, del più spettacolare plagio collettivo della storia. Ci racconta, insomma e soprattutto, di come loro ci vedono e ci trattano e di come noi siamo diventati. Lo spot, in sé, è molto semplice. C’è questo personaggio (non ci riferiamo all’attore, va da sé, ma alla maschera che interpreta) con l’espressione da beota, un simpatico pirlacchione, un border line dell’emisfero grigio, insomma un grullo che ride e fa l’idiota mentre una voce da badante cerebrale gli spiega perché dovrebbe dovrebbe andare in sollucchero al pensiero di vivere nella magnifica comunità europea. E qui viene il bello. I motivi sarebbero che l’Unione è la patria dei diritti sacri e inviolabili e che possiamo viaggiare come trottole da un confine all’altro del continente giacchè tutelati quali consumatori. Sono argomenti così falsi che dovrebbero puzzare di tarocco persino per il povero gonzo dello spot. I diritti intangibili non li ha inventati la Commissione Europea. C’erano già prima. L’Italia, tanto per restare in casa nostra, li aveva sanciti nella propria carta costituzionale nel lontano 1947, in un momento storico in cui il delirante progetto comunitario allignava solo nella mente di qualche illuminato perdigiorno. Quindi l’Europa ci ha riconosciuto diritti che avevamo già, persino meglio formulati. Ma li rivende oggi, tipo il buon piazzista di pentole che ci rifila, come innovativa, la pignatta su cui da sempre cuciniamo. Quanto al fatto della libera circolazione dei beni e delle persone, forse che prima di Maastricht era vietata? O era, semplicemente, meno agevole? E, in ogni caso, a chi ha cambiato (in meglio) la vita? Stavamo davvero così male quando, per andare in Francia, ci voleva il passaporto? Ma veniamo all’ultima chicca che è la migliore. Quella dove la carezzevole balia del neurone gorgheggia che l’Europa ci coccola in quanto consumers. Ecco tanata l’identità nuova che ci hanno appioppato conducendoci, come un gregge, nel pascolo a stelle d’oro su campo blu. Siamo, prima di tutto e sopra ogni cosa, dei consumatori. Cioè degli organismi viventi la cui funzione fondamentale è comprare e sostituire, usare e buttare, mangiare ed evacuare. In ultima analisi, dei polli da allevamento, dei bulimici tubi digerenti. Un tempo le organizzazioni più considerate, temute e rispettate erano quelle che federavano i cervelli e le braccia dei lavoratori, cioè i sindacati. Oggi, invece e non a caso, sono quelle che rappresentano i ventri e gli intestini della massa amorfa, cioè le associazioni dei consumatori. Il tutto per favorire il totem unico e sacro, il nume tutelare idolatrato dai sacerdoti del verbo comunitario che ha sostituito, dopo averle rottamate, le tradizioni di destra e di sinistra: la Crescita. Questo siamo per loro. Degli imbecilli che devono ingozzarsi perché il PIL si gonfi e siano rispettati i rapporti col deficit e col debito. Però, adesso, concediamoci un sogno. Immaginate se il decerebrato della suddetta Pubblicità Regresso improvvisamente si svegliasse, si animasse di vita propria, assumesse un’espressione men che belluina, lo sguardo di un essere pensante. Potrebbe bussare sulla tela dello schermo e richiamare l’attenzione della voce fuori campo. Poi potrebbe fare delle domande tipo queste. Mi scusi, ma è vero che praticamente nessuna delle istituzioni comunitarie è elettiva? Mi scusi, ma è vero che il parlamento per cui andremo a votare è l’unico organismo realmente rappresentativo dell’Unione Europea? Mi scusi, ma è vero che questo ‘parlamento’ è l’ente comunitario con meno poteri in assoluto e, soprattutto, è privo di facoltà legislativa? Mi scusi, ma è vero che il potere di iniziativa legislativa è detenuto da un organismo, la commissione europea, costituito da soli ventotto membri? Mi scusi, ma è vero che questi ventotto membri così potenti sono nominati senza mai essere passati al vaglio della volontà popolare, per non meglio precisati meriti? Mi scusi, ma è vero che questa commissione si riunisce in assise non pubbliche e le sue discussioni hanno carattere riservato? Mi scusi, ma è vero che il presidente del Consiglio Europeo (che non è il consiglio dell’Unione Europea), tale Van Rompuy, che rappresenta cinquecento milioni di cittadini, non è stato mai eletto da nessuno? Mi scusi, ma è vero che il potere di approvare i regolamenti e le direttive comunitarie appartiene a un organo, il Consiglio dell’Unione Europea, formato da componenti non stabili, ma rotanti come dervishi? Mi scusi, ma è vero che queste due istituzioni non hanno e non possono avere né una maggioranza ‘politica’ né una legittimazione ‘democratica’? Mi scusi, ma è vero che i regolamenti e le direttive comunitarie, sia pure in modo diverso, sono leggi direttamente applicabili e applicate nel territorio di ciascuno stato membro? Mi scusi, ma è vero che la legge La Pergola del 1989, la legge Buttiglione del 2005 e infine la legge numero 234 del 2012 hanno previsto un sempre più celere recepimento nel nostro ordinamento giuridico delle norme approvate da questi organismi acefali e privi di controlli? Ed è vero che prevalgono su qualsiasi normativa nazionale con essi confliggente? Mi scusi, ma è vero che l’articolo 105 del trattato di Maastricht prevede che la Banca Centrale Europea, che detiene il potere di battere moneta, non può accettare istruzioni dai governi degli stati membri? Ed è vero che l’articolo 10.4 del protocollo europeo delle banche centrali prevede che le riunioni del consiglio direttivo della BCE abbiano carattere di riservatezza e possano essere rese pubbliche solo se lo decide il direttivo? Mi scusi, ma è vero che l’articolo 16 dello stesso protocollo prevede che solo il direttivo ha diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote? Mi scusi, ma è vero che l’art. 21.3 prevede che la BCE, cioè (in teoria) la banca di tutti i cittadini europei non può (in pratica) prestare denaro agli stati europei, che di quei cittadini sono espressione, ma solo a istituti di credito? Mi scusi, ma è vero che l’Unione Europea è stata concepita in modo tale da privare gli stati della possibilità di finanziare le proprie politiche sociali come qualsiasi stato sovrano al mondo e cioè spendendo a deficit? Mi scusi, ma è davvero vero (perdoni il gioco di parole) che il cosiddetto fiscal compact (approvato all’unanimità dai nostri allegri politici di destra e sinistra) prevede di ridurre in vent’anni il nostro debito pubblico a colpi di un ventesimo dell’eccedenza rispetto al 60%? Ed è vero che, in costituzione, hanno inserito il pareggio di bilancio come se la nostra repubblica fosse una S.p.a. dimenticando che essa, in base all’art. 1, non è fondata sulla partita doppia, ma sul lavoro? Di fronte a questo diluvio di domande, che accadrebbe? La ventriloqua fuoricampo non potrebbe che assentire: Beh, certo, è tutto vero. Allora, forse, il poveraccio avrebbe l’ardire di porre un altro quesito: ma perchè non me l’avete detto prima di incastrarmi in questo spot a fare la figura del coglione? Perchè sei un babbeo, tesoro, replicherebbe The Voice. Ma devi esserne lieto, grato ed orgoglioso, perché non sei un babbeo qualsiasi. Sei un babbeo europeo.

 

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