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Il perché e il percome

Nel caso della squadra di ragazzini thailandesi sepolti vivi in una grotta sotterranea c’è molto da imparare su come funziona il mondo e su come funziona il mondo dell’informazione. L’avventura è stata trattata in tutti i modi possibili, da tutte le angolazioni possibili, con tutti i registri narrativi possibili tranne uno, di cui tra breve diremo. Lo scopo unico, sempre ben presente ai narratori del Circolo Unificato dei Mass Media Globali, è stato: emozionare per fare audience. Ergo, il teleutente medio ha ricevuto il seguente ordine del giorno su cosa doveva interessargli: 1) dove si trovavano i malcapitati; 2) cosa stava facendo la comunità internazionale per tirarli fuori; 3) quale sarebbe stato l’esito dei soccorsi: morte di tutti o salvataggio di tutti? Oppure morte di alcuni e salvataggio di altri? Alla fine, per fortuna dei piccoli protagonisti e anche nostra di impotenti spettatori immedesimati nel dramma, tutto si è risolto per il meglio. E tra qualche giorno la storia sarà dimenticata a favore di qualche nuovo, e dunque più coinvolgente e perciò più spendibile, ‘cartone animato’ mediatico.

Riavvolgiamo il nastro, adesso, e riesaminiamo i tre passaggi succitati. Che cosa manca, nella lista? Due cose: il come e il perché. Come diavolo i ragazzini si sono inoltrati nelle profondità del sottosuolo percorrendo una marcia interminabile per approdare infine nella loro tomba di pietra? E, soprattutto, perché lo hanno fatto? Cosa li ha spinti laggiù? Abbiamo cercato invano una risposta compulsando i giornaloni e i giornalini, le gazzette di provincia e i siti prestigiosi, ma niente. Allora siamo giunti a una conclusione: quei due quesiti non fregano a nessuno. E ancora meno importa la risposta a quei quesiti. Si badi bene: non stiamo suggerendo che ci sia qualcosa di strano nell’origine della vicenda; piuttosto, è strano che l’origine non la ‘calcoli’ nessuno. È davvero bizzarro, perché sono i due interrogativi principali su cui dovrebbe reggersi la deontologia del giornalismo indipendente, da cui dovrebbe essere stuzzicata l’atavica curiosità di ogni homo sapiens e, infine – vogliamo davvero volare alto – a cui dovrebbe anelare qualsiasi cervello pensante degno di questo nome.

Ma i cervelli pensanti non vanno più di moda, oggi. Mentre si sprecano i cuori pulsanti, tanto più se all’unisono e per una buona causa. Ecco la ragione per cui il cosiddetto ‘complottismo’ è tanto vituperato dalla cultura ufficiale. La modalità di pensiero complottista – che pure conosce degenerazioni paranoidi e imbarazzanti, insieme a punte di vero e proprio genio – è uno degli ultimi presidi rimasti a tutela della naturale vocazione ‘investigativa’, e quindi filosofica, dell’essere umano. Ma è una vocazione sgradita al sistema, perché costituisce l’anticamera dello spirito critico, e perciò anticonvenzionale e potenzialmente rivoltoso. Ecco che la storia thailandese diventa una cartina di tornasole di quanto siamo assuefatti all’idea che non c’è niente di rilevante da sapere o da capire tolta l’informazione di superficie, lastricata di veline ripetute ad nauseam come l’eco in una spelonca. Al punto che persino un interminabile budello sotterraneo è un palcoscenico di scintillanti evidenze. Ogni cosa è sempre chiara e limpida come acqua di fonte. Né chi la racconta né chi la fa propria desidera essere disturbato con domande sulle scaturigini dei fatti. Tipo: come? Perché? Il che ci induce a ulteriori domande: come è potuto succedere tutto ciò? E soprattutto, perché?

Francesco Carraro
www.francescocarraro.com

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