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SI PUO’ MORIRE PER L’EUROPA?

Si può morire per l’Europa? La domanda è legittima e la risposta duplice. Se il quesito sottintende la disponibilità al supremo sacrificio di sé per edificare o difendere una patria, la risposta è no. Categoricamente, no. Non esiste un solo cittadino comunitario che, oggi come oggi, sarebbe disposto a infilarsi una divisa e a calcare un caschetto sulla zucca, con su scritto UE magari, e ad andare a morire .

Forse qualcuno potrà accogliere con sollievo questa constatazione scorgendovi il tramonto finale degli egoismi nazionalistici oppure come l’albeggiare di una nuova era di pace. In realtà, è solo il sintomo di una malattia di cui ci rifiutiamo di ammettere l’esistenza e che sta corrodendo, come un tumore, il corpo dell’unione e i corpi dei suoi abitanti, e si avvia a divorarsi il nostro futuro. La malattia, tutta ‘intellettuale’, si chiama Unione europea ed è, non a caso, il parto artificiale di pochi intelletti, i famosi Padri che nel dopoguerra si affannarono per edificare un sogno, trasformatosi in un incubo. Come tutte le malattia, anche la patologia europeistica ha una forte componente psicosomatica. E’ iniziata nella testa di pochi per finire col manifestarsi nel fisico e nella vita di molti. Sotto forma di miseria, indebitamento progressivo e fatalmente inestinguibile, disperazione, suicidio morte. Purtroppo l’idea era ‘malata’, nel senso etimologico di portatrice di ‘male’, fin dal principio perché pretendeva di costruire a tavolino un sentimento di identità sovranazionale inesistente. Non c’era e non c’è nulla, sotto il profilo linguistico, territoriale, ‘tradizionale’, ‘mitologico’ che abbia mai unito i singoli popoli chiamati a costituire la nuova realtà cosmopolita che l’Europa dovrebbe rappresentare. Eppure, il processo storico di evoluzione degli Stati Nazionali avrebbe dovuto insegnare che le entità giuridiche statuali possono nascere e crescere e consolidarsi solo con il contributo indefettibile della passione civica. Quel sentimento che cementa persone differenti desiderose di riconoscersi in qualcosa che le identifichi, che muove da una lingua condivisa e da un ‘idem sentire’ che germoglia da un’identità collettiva forgiata nel corso dei secoli. Per questo motivo l’Europa nasceva ‘morta’ e destinata al fallimento. Non a caso, nel corso degli anni il magnifico e illuminato progetto fabbricato nei Gabinetti delle Elite è stato a più riprese bocciato e rispedito al mittente quasi tutte le volte in cui i popoli europei sono stati chiamati a pronunciarsi democraticamente. Persino la costituzione è stata bocciata. Eppure i ‘piccoli chimici’ che lavorano al grande disegno comunitario non si sono dati per intesi. Hanno continuato a tessere, come piccole tarantole maligne, la tela dell’unificazione. Contro tutti i desiderata della gente e a dispetto di tutti i segnali  che arrivavano dal basso. Ciò che sorprende è l’impressionante accelerazione che questo processo contro intuitivo e antidemocratico ha subito negli ultimi anni. Con l’esponenziale e irreversibile perdita di quote di sovranità nazionale da parte dei singoli partners e con l’altrettanto arrembante accentramento di poteri e diritti di veto nelle sacre stanze dove si decidono realmente i destini di milioni di ignari ‘sudditi’: a Bruxelles e a Francoforte. Quando hai perso la sovranità monetaria, la possibilità di stampare denaro o di svalutare la tua moneta, sei, già, di fatto uno schiavo. E noi lo siamo a tutti gli effetti, perché alla sovranità monetaria abbiamo rinunciato, insieme agli altri componenti dell’Unione, da quando abbiamo ceduto queste prerogative a una Banca Centrale priva di controlli, sfornita di qualsiasi legittimazione democratica, opaca nel funzionamento, e titolare di tali e tanti ‘privilegi’ da far impallidire quelli dei contro cui si affannano le battaglie di retroguardia del furore anti-casta, oggi così moderno e à la page. Per questo, è patetica, inutile, irresistibilmente vacua la lotta politica ‘nazionale’ che si consuma dentro i confini nazionali (che cesseranno, entro breve di essere tali, non appena il processo di svaporamento delle entità statuali si sarà compiuto). Non conta assolutamente nulla se il vincitore della prossima tenzone elettorale sarà un esponente del vecchio centrodestra, del partito democratico, dei grillini o di qualsiasi altro soggetto politico dovesse fermentare dalla smania di sopravvivenza dei politici di casa nostra. Servirà solo a dare un nome e un volto a colui che poi prenderà un aereo per andare a farsi scrivere il nuovo programma ‘salva Italia’. Che, probabilmente, comprenderà un pacchetto di aiuti necessari a impiccarci ancor più di adesso alla tagliola dello spread, del debito e delle agenzie di rating. In definitiva, la risposta alla domanda di apertura dovrebbe servire ad aprirci gli occhi. Nessuno di noi sarebbe disposto a morire per difendere un monstrum che non abbiamo voluto, creato, auspicato. L’Europa è un Golem, frutto del delirante disegno di qualche apprendista stregone che da decenni ci tiene sotto schiaffo con una strepitosa menzogna. E cioè che l’Europa Unita è necessaria per archiviare definitivamente il rischio delle carneficine che hanno insanguinato il secolo breve. In altri, termini, ci vogliono più Europa e meno egoismi nazionali per impedire altre mattanze. Così, tramandata da una generazione all’altra, questa sofisticata e insidiosa bugia ci ha convinti che, sì, un pezzetto alla volta, potevamo smetterla di voler essere padroni a casa nostra. E così un pezzetto alla volta, abbiamo finito per non esserlo più. Quelli che stiamo vivendo sono giorni e mesi decisivi perché forse, per quanto lanciato a folle velocità verso il baratro, quello dell’Euro e dell’Europa Unita è un treno che può essere ancora rallentato, se non fermato del tutto. Anche perché, non dovesse accadere, il futuro ci riserverà esattamente i foschi scenari che i Profeti del Mercato Comune prima, e dell’Unione Politica poi dicono di averci voluto evitare. Una guerra civile intraeuropea combattuta da popoli animati dal desiderio di riconquistare la libertà perduta. Oppure un nuovo Quarantotto di giovani smaniosi di riacquistare la propria indipendenza contro l’Europa della finanza e dei banchieri. Allora, forse sì, ci accorgeremo, troppo tardi, che alla domanda iniziale qualcuno potrebbe rispondere sì. Si può morire per l’Europa. Per uscirne e tornare liberi.

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