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ATTENZIONE ALLA MANUTENZIONE

ZENPiccola recensione con quarantadue anni di ritardo. Nel 1974 veniva alla luce un libro unico nel suo genere, anzi unico in qualsiasi genere. Non è un romanzo, ma è un romanzo. Non è un saggio, ma è un saggio. Non è un diario, ma è un diario. È tutte queste cose messe insieme e, nel contempo, le travalica, sovrapponendole, intrecciandole e ottenendone un prodotto alchemico sopraffino impastato con gli ingredienti di suspence delle trame romanzesche, con quelli di riflessività e ponderazione dei pamphlet ben riusciti, con quelli autobiografici delle vite vissute e dei loro drammi veri. Non vi tengo ulteriormente sulle spine. Si tratta del libro di uno scrittore (ma può definirsi tale chi scrive due soli testi nella sua carriera?), in parte filosofo (ma può definirsi tale chi viene ricoverato a più riprese per disturbi psichici?), in parte insegnante (ma può definirsi tale chi abolisce i voti e gli esami e viene cacciato dalla scuola in cui insegna?): Robert Pirsig, genio americano che, nella seconda metà del Novecento, si trovò ad affrontare una tragedia. Impazzì e subì un trattamento di elettroshok. Al risveglio era, letteralmente, un altro, tanto da designare con lo pseudonimo di Fedro la propria personalità precedente alla caduta. Ignaro di chi egli fosse stato e di come fosse arrivato all’età che si ritrovava, decise di intraprendere un lungo viaggio in moto on the road, alla Kerouac, nelle sterminate e solitarie praterie e montagne nordamericane, in compagnia del figlio problematico e di una coppia di amici. Strada facendo, cercò di ricostruire il proprio pensiero, quello di prima della ‘lobotomia’ e ne venne fuori quel piccolo capolavoro che è ‘Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta’. Alternando squarci di paesaggio, descritti con la maestria del consumato narratore, a lunghe meditazioni su se stesso e sulla vita, Pirsig si inerpica (o sprofonda, se preferite) alla ricerca del concetto che lo fece andare fuori di testa: la qualità. Nasce così la filosofia della qualità di cui il nostro è l’unico e insuperato esponente. E allora? A che giova saperlo? Qualcosa mi dice che questo funambolo del pensiero, capace di camminare in bilico sul filo teso tra metafisica e follia, di cadere nella seconda metà del baratro e di ritornare poi alla prima, con dei lividi, ma lucido, abbia molto da insegnarci. Soprattutto per quanto concerne l’idea che lo ossessionò fin quasi a ucciderlo: cos’è la qualità? Chi dà qualità alla nostra esistenza? Quanta davvero ce ne manca? Perché avvertiamo un deficit di qualità della vita se non sappiamo definirla? E, soprattutto e infine, per quale ragione, nell’epoca storica con la qualità della vita più alta di sempre c’è anche un’impressionante carenza di qualità nelle vite singole, nei microcosmi individuali, negli universi personali? Tanto da provocare impazzimenti frequenti e uso e abuso di psicofarmaci per farvi fronte? Pirsig può essere un’ottima guida per avviarci ad apprendere lo zen e l’arte della manutenzione di noi stessi.

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