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Era più sveglia la terz’ultima generazione

Stando alle ultime notizie, i militanti di “Ultima generazione” si apprestano a scalare una marcia, sul piano organizzativo e degli obbiettivi. D’altra parte, il nome stesso che si sono dati mette fretta, per così dire. Se sei l’ultima generazione del pianeta, tutto puoi permetterti tranne che perdere tempo. Da qui, i comprensibili allarmi: non è che ci apprestiamo ad assistere a un salto di qualità nei metodi, nelle tecniche, nelle azioni dimostrative e nei bersagli? In effetti, passare dalle brigate rosse a quelle verdi è un attimo.  E siccome abbiamo già dato, come disse quel tale, il ricordo caliginoso degli anni di piombo offusca lo sguardo e i pensieri.

Ora, non crediamo, anzi non vogliamo credere, a derive di quel tipo. Nel contempo, sarebbe utile cominciare a mettere a confronto l’ultima generazione con la terz’ultima; e cioè, questi prodi deturpatori di monumenti con i loro nonni: vale a dire, con gli esponenti dell’ultima generazione – prima di questa “ultima generazione” – ad aver sognato in grande. Parliamo degli attuali anziani che, dal Sessantotto al Settantasette e anche un bel po’ dopo, si erano, pure essi, impegnati in un progetto per certi versi altrettanto ambizioso e incendiario, che aveva a che fare con un avvenire diverso, e migliore (che è poi il nostro disastroso presente).

Nell’indagare i due fenomeni potremmo accorgerci di una evidente similitudine e di una eclatante differenza. In entrambi i casi, ci troviamo davanti a giovani appassionati e desiderosi di incidere nel corso della storia a venire. Lasciate perdere la pur importante faccenda di quanto fosse, e di quanto sia, sincera questa passione e genuino questo desiderio. Forse, nell’un caso e nell’altro, la manipolazione mediatica, i condizionamenti esterni, le ossessioni di un’epoca (l’utopia comunista allora, il feticismo ambientalista oggi) hanno pesantemente contribuito a manipolare le fragili menti e i giovani cuori dei rispettivi attivisti. Tuttavia, sarebbe ingiusto negare che ambedue sono generazioni – sia l’ultima che la terz’ultima – infiammate da ideali, valori, principii e mosse da un vibrante altruismo.

Veniamo ora alla macroscopica differenza che può essere facilmente compendiata come segue: l’ultima generazione vuole salvare il mondo, la terz’ultima voleva rivoluzionare la società. Vorremmo invitare gli ultrà gretini a rifletterci con calma. In apparenza, il primo scopo non solo risponde a una priorità più pressante (è futile voler rinnovare una casa che brucia senza prima spegnere l’incendio), ma anche più gratificante: vuoi mettere la romantica prospettiva di evitare l’inabissamento catastrofico di tutte le terre emerse con il prosaico intento di cambiare i rapporti di produzione capitalista?

Sennonché, verrebbe da chiedere agli odierni pasdaran del “climate change”, una volta che avrete raffreddato nientemeno che il globo terracqueo, salvando tutti i suoi abitanti, cosa farete? Chi vi ha preceduto sulla strada delle utopie palingenetiche del secolo scorso, se non altro, aveva un obbiettivo di trasformazione radicale della società perseguito in nome di una, per quanto malintesa, giustizia. Voi di un obbiettivo siffatto, non sapete che farvene. Ci mancherebbe altro, risponderete, c’è da salvare un pianeta: è il vostro mantra. Come quel famoso ritornello sul “c’è da spostare una macchina” che furoreggiava nei tempi che furono. Ma una volta che l’avrete raffreddato, il clima, che farete?

Probabilmente, proprio come Forrest Gump alla fine della sua corsa senza ragioni, vi renderete conto di essere “un po’ stanchini” e tornerete a casa. Riprenderete a vivere nel contesto di un “mondo” (di ingiustizie, squilibri, gerarchie) di cui non avete mai contestato, né tantomeno capito, la strutturale iniquità. Anche perché, gli ultra-capitalisti, stra-miliardari e pseudo-filantropi che i vostri nonni avrebbero inseguito con le molotov, condividono i vostri stessi sogni e le vostre medesime “urgenze”. Anzi, le finanziano pure. Se non lo avete ancora compreso, quei sogni ambientalisti, quei tic apocalittici, quei ridicoli patemi da adolescenti di ritorno non sono affatto i “vostri”. Sono i “loro”. Loro hanno scritto il copione che voi ora state recitando. Magari i vostri nonni erano, nelle intenzioni, meno eroici e romantici di voi. Ma di sicuro erano anche più svegli.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com

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1 Commento

  • Rispondi
    Emanuela
    2 Ottobre 2023 a 16:11

    Buonasera Francesco Carraro.
    Mi ricollego alla Sua ampia e sempre assai interessante riflessione svolta in questa pagina per raccontare quanto segue.
    Ho da poco terminato di vedere su ARD Mediathek/SWR (SWR è uno dei numerosi Drittes Programm, terzo programma, tedeschi, precisamente quello che trasmette da Stoccarda) la miniserie dal titolo “Tod den Lebenden”(Morte ai vivi).
    Breve riassunto: quattro ragazzi (un solo maschio) Heidi, Juklas, Becki, Akki, di età che va verso i 30, vivono insieme in un appartamento di Berlino, il cui affitto e le cui spese in genere vengono pagati, suo malgrado, dalla nonna di Heidi. Nell’appartamento non si studia nè si lavora. Ma si occupa gran parte del tempo a praticare amore libero di ogni gender. La kapò della comune è Heidi (unico nome senza la”k”): sguardo da vipera, occhi con borse precoci, kontrollfreak, come si dice da quelle parti, estremamente manipolativa, invidiosa, gelosissima, permalosa, punitiva, una vera tiranna, insomma.
    Come dicevo, costoro non fanno nulla di utile, ma vegetano praticando sesso, fino a che non accade un fatto che dà una scossa alla loro vegetativa quotidianità. Heidi viene trovata per due volte di seguito svenuta sul pianerottolo di casa. Dapprima essa cerca di sottovalutare la cosa, ma poi, spinta dagli altri tre, si convince a farsi visitare da uno specialista. Questi le diagnostica una grave malattia respiratoria, tanto grave da concederle al massimo qualche anno di vita. Una malattia causata dai veleni dell’aria pestilenziale della caotica Berlino, tale da obbligarla a vivere da quel momento attaccata ad una bombola ad ossigeno portatile.
    Il veleno nell’aria, il cambiamento climatico sono i due temi che entrano di prepotenza nelle loro vite parassitarie e narcisiste: si deve assolutamente fare qualcosa “contro” questo disastro! Ci si deve assolutamene difendere, anche con la forza bruta!
    Da un loro assai ambiguo vicino di pianerottolo si fanno procurare un’artiglieria tale da far paura solo a vederla. Con costui si recano in una zona industriale abbandonata, dove fanno prove di uso delle armi. Per pagarle, Heidi munita di una pistola scacciacani va dalla nonna e la saccheggia, sottraendole le restanti mazzette di banconote, quelle che dovevano essere la sua futura eredità.
    Così i quattro perdigiorno ci appaiono d’improvvisto sotto una veste nuova e molto inquietante: sguardi minacciosi, imbracciano pesanti fucili mitragliatori, e sparano con la rabbia e la forza di chi lo fa di professione.
    Nel vedere queste scene, io, come pure il critico della stessa SWR, sono andata col pensiero in modo “inevitabile” al lugubre ricordo della R.A.F.(Rote Armee Fraktion), di terroristica memoria. Alla loro degenerazione nell’uso smisurato della violenza.
    Nel frattempo, ai quattro si uniscono anche altri giovani, tra cui un paio di immigrati. Ma l’alleanza tra i due gruppi dura ben poco, dato che i nuovi hanno una piega decisamente criminale, poco interessata alla lotta contro il cambiamento climatico.
    L’ultima puntata è occupata quasi per intero da una impressionante sparatoria all’interno di enormi angoscianti paesaggi post-industriali, dalla quale non esce vivo nessuno. Eccezion fatta per Juklas e per il piccolo di Becki, che, non ancora nato al momento della morte di questa, può essere comunque salvato.
    Il critico di SWR imputa al regista Thomas Lass una certa mancanca di empatia e di sentimenti in generale, che emerge evidente dall’opera. Io non trovo affatto che questo sia un difetto. Al contrario. Penso che il regista abbia semplicemente riprodotto la realtà di siffatte persone: il loro modo narcisistico-robotico di vivere e di rapportarsi l’un l’altro. Io li ho visti come i nipoti degli Ultracorpi (film del 1956): esseri senza cuore e con il cervello attivo solo per compiere il male, dei veri necrofili, sempre alla ricerca di vite da distruggere. Questa volta “nobilitati” da una causa per cui combattere e perfino morire.
    A noi, per salvarci, non resta dunque che “restare sempre ben svegli”, proprio come dovevano restare sempre ben svegli i personaggi del film del ’56, per non essere “sostituiti” dai mostruosi Ultracorpi, che prendevano forma e corpo nelle loro cantine (inconscio?) all’interno di ripugnanti enormi baccelli.
    Il titolo della serie tedesca “Morte a vivi” pare dunque davvero ispirato al terrificante progetto degli Ultracorpi di 67 anni orsono…morte ai vivi.
    Cordialmente
    Emanuela

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