Secondo la pagina Facebook del PD, e al netto delle sgrammaticature, «Il Paese che ha in testa la destra è senza la sanità pubblica, in cui il diritto alla salute non è più tutelato. Lo confermano i tagli contenuti nella Nadef, che portano la spesa sanitaria in confronto al Pil ai minimi del 6 per cento». A questo punto, uno dovrebbe farsi, marzullianamente, almeno un paio di domande: risponde al vero quanto denunciato dal grido d’allarme dei dem? E quel grido viene da un pulpito credibile? Prima di rispondere, prendiamo atto che la sanità italiana e il suo cronico problema di risorse torna a far parlare di sé. E la gravità della cosa sta tutta nell’aggettivo (“cronica”) e nel verbo (“torna”). Infatti, quando si deplorano i tagli della sanità non ci si riferisce a una faccenda nuova su cui è finalmente ora di interrogarsi, ma a una questione incancrenita da anni. Parliamo di un tema su cui è surreale focalizzarsi sulle presunte colpe (attuali) del Governo Meloni senza risalire alle colpe (originarie), e ben più consistenti e durature, dei premier, e delle rispettive compagini, che hanno preceduto la leader di FDI nella guida del paese.
Ma partiamo dal principio, ossia dalla Nadef appena pubblicata dove, a detta del PD e di non pochi commentatori, via sarebbe una inammissibile compressione delle esigenze del sistema sanitario nazionale e dei malati. Ebbene, il Governo ha quantificato i fondi per il SSN, a fronte dei 131,1 miliardi del 2022, in circa 134,7 miliardi di euro per il 2023. Poi le risorse sono stimate in calo, a 133 miliardi di euro, per il solo 2024, mentre sono previste di nuovo in crescita a 136,7 miliardi nel 2025 e infine a 139 miliardi nel 2026. Se guardiamo invece il rapporto con il Pil si tratta di un 6,6 per cento nel 2023, di un 6,2 per cento nel 2024 e nel 2025, e di un 6,1 per cento nel 2026, fatti salvi aggiustamenti sempre possibili. Quindi, vi è una contrazione per quanto riguarda il rapporto spesa/PIL, ma vi è un aumento programmato sul lungo periodo per quanto riguarda le cifre assolute. Invece, se vogliamo rispondere al secondo dei quesiti iniziali, ciò che va indagato non è tanto il futuro quanto il passato. Lasciamo perdere per un attimo gli anni dal 2020 ad oggi contrassegnati (e “falsati”) dalle contingenze e dalle emergenze della pandemia, e concentriamoci sul decennio precedente. Non dimenticando che l’impatto del Covid-19 è stato così devastante anche in conseguenza di un sistema sanitario giunto alla “grande sfida” letteralmente stremato.
Prendiamo l’abbrivio dal IV rapporto della Fondazione Gimbe, del 2019, sulla sostenibilità del SSN nel periodo 2010-2019. Quindi, parliamo di un arco temporale durante il quale si sono succeduti (con l’eccezione dell’ultimo gabinetto Berlusconi nel 2010-11 e della coalizione giallo-verde del Conte I, dal 2018 al 2019) praticamente solo esecutivi a guida PD o con la partecipazione decisiva del PD, prima con Monti (2011-2013), poi con Letta (2013-2014), Renzi (2014-2016), Gentiloni (2016-2018) e infine con il Conte II (2019-2021). Ebbene, secondo il citato rapporto Gimbe, dal 2010 al 2019 il sistema sanitario italiano avrebbe ricevuto minori finanziamenti rispetto al fabbisogno reale, per 37 miliardi di euro. Il che significa che, nonostante la spesa nominale si sia mantenuta costante se non addirittura in leggero aumento, la spesa effettiva è risultata sempre sistematicamente inferiore alle necessità. E ciò calcolando anche l’andamento dell’inflazione nel periodo considerato insieme ad altre dinamiche come il costante invecchiamento della popolazione italiana e il correlato peggioramento della salute individuale e collettiva.
Da qui, la lettura fatta da Gimbe di un fenomeno che si traduce in una sottrazione di risorse a uno dei comparti più importanti non del nostro, ma di qualsiasi Paese del mondo. Dopo di che, la questione potrà anche ridursi a una disputa lessicale, se questo appassiona qualcuno: potremo cioè definire il trend degli investimenti dal 2010 al 2019 come un “sotto-finanziamento” anziché come dei “tagli” tout court, ma all’atto pratico la sostanza non cambia. Quanto al rapporto spesa sanitaria/PIL, vero che esso è previsto in calo per il triennio 2023-26 (da un 6,6 a un 6,1), ma il valore era sceso anche dal 6,8 del 2014 al 6,5 dl 2018 sotto esecutivi non di centro-destra. I nostri precedenti Governi hanno ritenuto (a torto o a ragione) che non ci fossero soldi a sufficienza per la Sanità. E lo rivendicavano pure: nel 2015 Yoram Gutgeld, commissario alla revisione della spesa del Governo Renzi e parlamentare del PD, annunciò tagli alla spesa sanitaria per dieci miliardi. Siccome questi governi sono stati quasi tutti, e quasi sempre, a guida dem, appare un tantino azzardato che oggi – proprio da quell’area politica, o dai giornali che ne rappresentano preferibilmente le istanze e le posizioni – arrivino attacchi così duri a un esecutivo entrato in carica da un anno appena. In conclusione, due, se non tre, sono i punti da memorizzare.
Punto primo: il problema non sono tanto i tagli quanto i “disinvestimenti”. Per capirci meglio, dal 2001 al 2008, anno della famosa crisi innescata dai mutui subprime, l’aumento della spesa sanitaria era stato del 14,8 per cento, mentre dal 2009 al 2017 è stato di un misero 0,6 per cento. Punto secondo: tutto può fare la sinistra italiana, tranne che intestarsi una battaglia contro i “tagli” alla sanità. Infatti, questi ultimi (sia pur rettamente intesi come “de-finanziamenti” o come riduzioni in rapporto al PIL) sono stati praticati anche, se non soprattutto, dal principale partito di quell’area politica. Chiudiamo con un terzo, e ultimo, punto, ma non per importanza. Non si tratta di un “peccato” (solo) italiano, ma anche europeo come dimostrano le percentuali minime del mitico Recovery Fund da destinarsi, secondo la Commissione, alle diverse materie: la sanità (pur dopo l’incubo Coronavirus) staziona malinconica all’ultimo posto dopo digitalizzazione, innovazione, cultura, rivoluzione green, infrastrutture, ricerca, parità di genere e coesione territoriale. Buona salute a tutti.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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