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Carriere alias: l’ultimo approdo di una civiltà schizofrenica

Forse dobbiamo cominciare ad impiegare nuovi e più arditi aggettivi per descrivere  la vertiginosa discesa della nostra civiltà nel Maelstrom di gorghi talmente irrazionali da sfiorare la pura demenza. Forse parole come “assurdo”, “contro-natura”, “surreale” non bastano più. Probabilmente è giunta l’ora di spostarsi sul versante clinico della psicopatologia. Ci potrebbe venire in aiuto – per decifrare ciò ci cui ci apprestiamo a darvi conto – la parola “schizofrenico” nel senso etimologico del termine. Dal greco σχίζω “scindo” e ϕρήν “intelletto”. A designare, quindi, una dissociazione del pensiero dalla realtà. È difficile trovare categorie più appropriate per commentare, e decrittare, la dilagante “infatuazione” di centinaia di scuole superiori italiane per il concetto, e per il processo sotteso al medesimo, di “carriere alias”.

In moltissimi istituti di secondo grado del nostro Paese sono in fase avanzata di proposta, se non addirittura di approvazione, “regolamenti” miranti a consentire agli alunni di “ridefinire” a piacimento la propria identità sessuale. In pratica, se un allievo maschio decide di “sentirsi” femmina e di farsi chiamare Beatrice al posto di Giuseppe, o un’allieva femmina stabilisce di “percepirsi” maschio e di farsi apostrofare Giovanni in luogo di Federica, tutti gli altri (compagni e professori) debbono acconsentire ai desiderata del giovane virgulto in crisi di identità. Non è chiaro se dovranno anche portargli la merenda a ricreazione, ma – visto che si tratta di un legittimo desiderio – è probabile che un codicillo finisca per contemplare anche gli optional alimentari.

Di certo, in base ai citati regolamenti, la scelta potrà essere effettuata “senza esibire alcun tipo di documentazione medica o psicologica” e anche in assenza di previa informazione ai genitori dello studente minorenne. L’interessato/a acquisterà, ipso facto, il diritto di accedere ai bagni delle donne pur essendo un giovane maschio quasi adulto e a quello degli uomini pur essendo una donna fatta e finita. Cito da uno dei suddetti “codici” che ho avuto modo di compulsare: “La persona assegnataria della identità alias ha diritto di utilizzare i servizi igienici e gli spogliatoi corrispondenti al genere elettivo. L’autorità scolastica cura l’utilizzo dei servizi igienici e spogliatoi in conformità ai principii di cui alla premessa del presente regolamento”.

Benvenuti nella civiltà schizofrenica dove i dati di realtà sono carta straccia di fronte alle brame del singolo. Anche la natura – pure oggi idolatrata quando si tratta di raffreddare il pianeta – ha da cedere il passo dinanzi alle “scalmane” (non importa se permanenti o transeunti) dell’onnipotente soggettività individuale. Ma la cosa più incredibile, e forse persino più schizofrenica, è un’altra ancora: oggidì, se tu osi mettere in discussione l’origine antropica del cambiamento climatico, citando fior di scienziati e sulla base di autorevolissime fonti, sei subito bollato come “negazionista”. E così pure se ti permetti di rimarcare (forte dell’evidenza empirica e dei riscontri scientifici) come un vaccino sperimentale di recentissima creazione non valga a evitare il contagio di un virus e sia foriero di gravi effetti collaterali.

Se, invece, ti svegli la mattina e ti inventi di essere una donna o un uomo, a dispetto della tua evidenza “genitale”, ecco pronto un bel regolamento per “positivizzare” il tuo diritto ad essere trattato, e chiamato, come tale. Ora, senza offesa per gli istituti non liceali, ma apprendere che anche nei licei classici questo abominio è non solo tollerato, ma persino caldeggiato, fa comprendere l’irreversibilità del processo di degrado intellettuale, civico, culturale e morale verso il quale ci stiamo avviando. Se salta persino il “principio di realtà” su cui si applicarono (evidentemente in modo non così fruttuoso, visto l’impazzimento odierno persino di chi dovrebbe divulgarne la sapienza) i filosofi greci; se si eclissa financo il principio di non contraddizione di aristotelica memoria – secondo cui A non può essere contemporaneamente Non-A e viceversa, così come, aggiornando il criterio all’attualità, un maschio non può essere contemporaneamente una femmina e viceversa – allora non c’è più speranza.

Se addirittura i (piccoli) templi ancora in piedi delle (robuste, razionali e logiche) radici del nostro pensiero occidentale cedono il passo ai furori “genero-clasti” dell’ideologia gender allora (quasi) tutto è permesso; e, probabilmente, tutto è perduto sul piano del buon senso, dell’intelligenza, della razionalità. Ergo, dobbiamo iniziare a leggere, interpretare e decodificare i tempi presenti con gli strumenti della psichiatria. Qui, badate bene, non si tratta di sacrosanta lotta alle discriminazioni contro le legittime tendenze sessuali di chicchessia e neppure di salvaguardare il giusto diritto di una (risicatissima, infinitesimale) minoranza di esseri umani a modificare i propri connotati sessuali, una volta raggiunta l’età idonea per decisioni tanto drastiche quanto irreversibili.

Qui stiamo entrando – lancia in resta e a suon di fanfare –  nel territorio caliginoso e inesplorato della follia collettiva: arrogante, intimidatoria e forcaiola come tutte le follie. Dove chiunque –  in base all’idolatrata smania egotica di una ridicola “opzione” individuale –  può decidere con quale identità sessuale farsi anagraficamente certificare. A tacer del fatto che il delirio di cui stiamo parlando produce formidabili corto circuiti con altre storiche battaglie della modernità come quella “femminista”. Che cosa resta, infatti, di realmente femminista, anzi di autenticamente e prioritariamente “femminile”, se la femminilità diviene un orpello biodegradabile, una variabile “lessicale” del dato naturale, un mero habitus indossabile a seconda del capriccio, della bisogna e della convenienza del primo maschio di passaggio?

Per sintetizzare, il sintomo finale dell’approdo all’era della civiltà schizofrenica  è proprio che ti consentono (anzi ti impongono) di asserire il falso e negare il vero contro i dati irrefutabili di natura e di realtà. Nel contempo, ti molestano e ti tacciano di “negazionismo” se ti prendi il lusso di dire il vero, di negare il falso o di discutere l’opinabile. Siamo arrivati al punto che, nel Regno Unito, la definizione di donna è stata oggetto di dibattiti parlamentari. E uno stimato biologo come Richard Dawkins ha avuto i suoi bravi problemi per aver asserito che “il sesso è chiaramente binario, dichiarare qualcosa di diverso è una distorsione della realtà”.

In conclusione, una chiosa buona e una cattiva. Partiamo dalla cattiva (o pessimista, se preferite). Sono forse giunti i tempi così preconizzati, nel 1905, da Gilbert Keith Chesterton: “Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate”. La chiosa buona (e ottimista) invece la riesumiamo dal vituperato Sessantotto. Un famoso slogan che ci deve ricordare – pur nel doveroso impegno contro un fenomeno da non sottovalutare – quale sarebbe l’unico modo sensato (e sano) di affrontare questa faccenda: non prendere assolutamente sul serio una cosa logicamente risibile e banalmente vergognosa come le carriere alias. Una risata le dovrebbe seppellire.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com

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