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Fuga dalla democrazia: le radici occulte della Ue e dell’euro

In un pezzo su Il Corriere della Sera del 5 febbraio scorso, il professor Galli della Loggia segnala un trend preoccupante nel flusso dei contributi comunitari alla cultura: i finanziamenti della Ue alla ricerca sono quasi per intero fagocitati dalle materie cosiddette Stem (ossia scientifiche) e in minima parte destinati a quelle umanistiche. Nell’articolo citato si legge, tra l’altro: “Agli occhi del vuoto utopismo paneuropeo privo di radici, la nazione resta il nemico primo. Negli ambienti dell’europeismo che conta e che ispira ogni giorno la politica dell’Unione resta tuttora centrale (…) l’idea dell’obbligatorio declino dello Stato nazionale, la convinzione messianica della sua futura inevitabile scomparsa”. Dopo di che, Galli della Loggia conclude augurandosi che “pur nell’assenza di una lingua comune, si radichi negli europei la coscienza delle profonde radici che li uniscono”.

Una domanda sorge spontanea: come può conciliarsi l’amara constatazione di un utopismo paneuropeo “privo di radici” con la coscienza delle “profonde radici” che unirebbero i popoli europei? Forse è giunto davvero il tempo di chiedersi – fuor di retorica – se alla base del processo di unificazione ci siano davvero le fatidiche radici asseritamente “comuni”; o non, piuttosto, delle radici fittizie, coltivate e gonfiate ad arte, abilmente propagandate e tutt’altro che sintomatiche di un “idem sentire” di popolo.  L’articolo di cui sopra dimostra che anche gli ambienti intellettuali meno sospettabili di anti-europeismo cominciano a nutrire dei sospetti più che fondati. La verità è che il progetto “unionista” è (stato) caratterizzato (fin dalle sue origini e durante tutta la sua implementazione) da connotati per nulla popolari, sociali e di “massa”, ma semmai elitari, artificiali e di “nicchia”.  Altrimenti detto, il mito  dell’Europa “unita” è forgiato sul crogiuolo di una indubbia matrice aristocratica, extra-europea, oligarchica e d’intelligence.

Quanto alla scaturigine aristocratica, basti pensare a uno dei padri putativi del progetto di unificazione del Vecchio continente che non può certo definirsi un rappresentante delle classi popolari. Ci riferiamo al conte Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi di cui oggi, purtroppo, si parla solo con riferimento al presunto progetto (per avallarlo in quanto documentato o per contrastarlo in quanto complottistico)  migrazionista e ibridatorio secondo taluni contenuto nel suo libro Praktischer Idealismus. In realtà, Kalergi dovrebbe essere ricordato soprattutto per l’innegabile funzione “fondativa” dal medesimo esercitata nel lungo iter di approdo da una originaria “visione” unificante degli stati europei alla successiva CEE alla attuale UE. Fu suo il primigenio appello all’unità, tratteggiato nel 1922 con il libro Paneuropa; fu sua l’ispirazione  del programma di Aristide Briand per una Unione Paneuropea, presentato nel 1929 alla Società delle Nazioni a Ginevra; fu sua l’idea della futura CECA (Unione del carbone e dell’acciaio sull’asse franco-tedesco); sua la proposta, nel 1929, di adottare come inno europeo l’Inno alla gioia di Friedrich Schiller e anche quella di celebrare una giornata dell’Europa nel mese di maggio. La fondazione Coudenhove-Kalergi, nata nel 1978 e trasformata nel 2008 in European Society Coudenhove-Kalergi premia, periodicamente, le più eminenti personalità distintesi nella realizzazione del “sogno” auspicato dal nobile austriaco.

Quanto al fatto che la UE sia un progetto sorto più “spintaneamente” (su impulso di ambienti USA) che spontaneamente (per brama dei popoli europei),  vedasi quando dichiarato in una intervista del 4 Dicembre 2015 da Morris Mottale, professore di relazioni internazionali, politica comparata e studi strategici presso la Facoltà di Scienze Politiche della Franklin University, con sede a Sorengo, vicino a Lugano, a proposito della moneta unica: «La moneta unica è da considerarsi a tutti gli effetti come un prodotto americano. Non è difficile capire perché: una unica moneta al posto delle 32 che c’erano prima rende molto più semplici e razionali gli scambi commerciali tra Stati Uniti ed Europa e facilita la circolazione delle merci all’interno del mercato unico globale guidato dalle regole americane. La creazione, l’estensione e il rafforzamento del libero mercato e dei valori sociali ad esso connessi è da sempre il principale obiettivo della politica estera americana. Appena hanno avuto l’occasione di introdurre una moneta unica europea che andasse in questa direzione non si sono lasciati sfuggire l’occasione».

Quanto al connotato oligarchico (nel senso precipuamente capitalistico del termine), è ormai conclamato che l’Unione è stata profondamente “desiderata” e certamente “assecondata” dalle lobby dei più grossi gruppi industriali. In primis il c.d. ERT (European Round Table of industrialists) che, dal 1983, raggruppa i CEO delle principali multinazionali operanti in ambito europeo. Nel 1985, il CEO di Philips presentò il progetto “Europa 1990” contenente la road map verso il mercato unico. Nel giugno dello stesso anno, la Commissione europea diede alle stampe un “libro bianco” che era sostanzialmente una riproposizione delle idee del CEO di cui sopra. Keith Richardson, segretario generale della Tavola Rotonda degli industriali dal 1988 al 1998, in un documentario di Friedrich Moser e Matthieu Lietaert (Brussell Business), ha rammentato anche le locations, all’insegna del lusso e dello sfarzo, dove avevano luogo quei rendez vouz in cui i veri capi bastone delle multinazionali dell’ERT ripetevano, a ogni piè sospinto, ai supposti capi politici dei popoli europei che questi ultimi dovevano aprire i mercati, abbattere le frontiere, dare la stura al mercato unico. Infine, per quanto concerne l’influenza dell’Intelligence (d’oltreoceano), è sufficiente menzionare lo scoop del Telegraph britannico del 19 settembre 2000. Vi si dava conto dei documenti ritrovati dal professor Joshua Paul (un ricercatore della Georgetown University di Washington) da cui risultava il ruolo decisivo esercitato, in materia, dal c.d. ACUE (American Committe on United Europe) costituito nel 1948 e presieduto da William Donovan, capo dell’Oss (così si chiamavano i servizi segreti USA prima dell’avvento della CIA).

Il “Movimento europeo”, organizzazione in prima linea nella lunga marcia verso l’unificazione, ricevette più della metà dei suoi fondi proprio dall’ACUE. Ebbene, ove debitamente accostate, tutte le tessere del mosaico ci restituiscono un quadro ben diverso rispetto al “bucolico” scenario del “Grande Sogno” di cui è ancora imbevuto lo storytelling europeista.  Una narrazione non più accettabile né seriamente sostenibile se non su un piano di deliberata mistificazione del dibattito corrente e della pubblica opinione. Finalizzata, con tutta evidenza, a condurre i popoli europei ad aderire obtorto collo ad una unificazione che essi non hanno mai realmente voluto, quantomeno nei termini attuali: e cioè al prezzo della lenta eutanasia dei propri Stati Nazione. Se finalmente riusciremo a correggere questo paradigma, potremo forse capire perché, come scrive Galli della Loggia, “agli occhi del vuoto utopismo paneuropeo privo di radici, la nazione resta il nemico primo”.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com

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