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IL FINE DELLA DEMOCRAZIA

renzisconiIl presunto candidato della sinistra innovativa ed europeista, Macron, appena eletto presidente, ha nominato come premier un conservatore della cosiddetta destra innovativa e liberale. La Merkel ha iniziato la sua cavalcata leggendaria e pakidermica determinante nella ‘soluzione finale’ delle democrazie europee grazie a una grosse koalition tra democristiani e socialisti. Già si parla con insistenza di un governo dell’inciucio tra Berlusconi e Renzi dopo le prossime elezioni parlamentari. A fronte di ciò, vale la pena indagare non solo sul significato residuo di fruste parole come ‘destra’ e ‘sinistra’, ma addirittura sull’opportunità di continuare a utilizzare un arnese vetusto della terminologia politologica classica come ‘democrazia’. Gli osservatori più avveduti e meno prevenuti hanno parlato della fine della democrazia sulla base di un ragionamento non infondato riassumibile come segue. Se il governo di un paese viene sistematicamente affidato a coalizioni di schieramenti in teoria contrapposti, se i programmi dei partiti avversari tendono sempre più a convergere distinguendosi solo per irrilevanti svolazzi cromatici, estetici, di pura facciata, in cosa si distingue la democrazia da un regime? Il discrimine è nel fatto che si vota? Ma anche in Iran si vota, si è appena votato, con ampio dispiegamento di urne, di scrutatori, di sondaggi, di propagande elettorali. Dice: ma lì il risultato è risaputo perché tanto vince un candidato del Sistema Teocratico. E da noi è poi così diverso visto che trionfa comunque un candidato del Sistema Tecnocratico? Se la spunta Renzi, restiamo in Europa a elemosinare un po’ di flessibilità, se si impone Berlusconi, restiamo in Europa a elemosinare un po’ di flessibilità, se si mettono insieme, idem. E se tocca ai 5 Stelle? Il movimento ha smarrito la spinta propulsiva iniziale, si è imborghesito, dismettendo le battaglie ‘populiste’ e indossando l’abito buono del dì di festa, il completino da collegiale con cui presentarsi alle cerimonie dell’Unione Europea a battere i pugni sul tavolo; coi guanti di seta? Per chiedere altra flessibilità? Insomma, forse il problema non è neppure la fine della democrazia, intesa come scontro di visioni e modelli contrapposti e antitetici indirizzati alla conquista di un potere reale da gestire autonomamente. In fondo, quel potere si è sgretolato da quando abbiamo, a nostra insaputa, rinunciato alla sovranità, che ne costituisce l’infrastruttura sostanziale. Ergo, la visione consentita è una sola, la partita anche. Come se si giocasse in un campo da calcio con un’unica porta e con due o tre squadre che ambiscono a insaccare il medesimo pallone nella stessa rete. Il tema, dunque, non è ‘la fine’ della democrazia quanto piuttosto ‘il fine’ della democrazia. La democrazia tradizionale intesa come format per la selezione non autocratica della classe dirigente cui attribuire la guida di una comunità si è trasformata in uno specchietto per le allodole con uno scopo preciso: far credere ai cittadini che essi contino ancora qualcosa. Un elemento di contenuto puramente coreografico, decorativo, con una finalità cosmetica: imbellettare l’assolutismo occulto delle elites finanziarie. Tra teocrazia e tecnocrazia ci sono forse più affinità di quanto non sembri.

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