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L’incubo al Cubo

Piccole speranze crescono. L’auspicio inespresso di milioni di cittadini europei, che cioè la costruzione comunitaria imploda e si afflosci su se stessa, non è più un’utopia. Quando dalla rabbia trattenuta si passa ai gesti concreti, vuol dire che la coscienza civica delle persone non è morta. Notizia numero uno: il neo-costituito governo islandese sostenuto dal Partito Progressista e dal Partito per l’Indipendenza guidati da David Gunnlaugsson e Bjarni Benediktsson ha sospeso le trattative per l’ingresso dell’isola nell’Europa Unita. Ha anche promosso un referendum perché siano i cittadini a decidere se entrare (volenti) nell’incubo a dodici stelle su fondo blu che a noi è toccato in sorte (nolenti).

Una decisione talmente banale nella sua adamantina democraticità che i nostri politici non l’hanno mai presa in seria considerazione. Fino ad oggi, quando Beppe Grillo ha avuto un’analoga pensata. Da Mirandola, nel modenese, epicentro di un terremoto fisico devastante ha lanciato la proposta di un pronunciamento popolare per frenare il terremoto sociale in atto. Quello ingenerato dal nostro malaugurato ingresso nell’Euro. Ma siccome le buone notizie (come le cattive) non vengono mai sole, ecco che anche in Polonia si registra un sussulto di dignità e consapevolezza. Stando agli ultimi sondaggi, il 62% della popolazione polacca è contraria all’ingresso del paese nell’euro mentre il primo ministro Donald Tusk apre a sua volta la porta a un referendum. I polacchi hanno fiutato la trappola, ma hanno una costituzione abbastanza intelligente da impedire che scatti la tagliola. Com’è noto, per entrare nell’Unione il candidato deve abdicare alla propria sovranità monetaria, cioè al potere di emettere banconote e di praticare politiche finanziarie indipendenti. Noi italiani abbiamo acconsentito, firmando una cambiale in bianco, da cicale sprovvedute quali siamo. Piegandoci così a un contratto le cui clausole capestro ci sono state taciute da una classe politica criminale non perchè ladra di denari (come ci raccontano i poeti anticasta), ma perché ladra (e ricettatrice) di sovranità. In Polonia, invece, il furto della cassa (cioè della banca nazionale) può perpetrarsi solo col voto dei due terzi del parlamento ed ecco che l’infausto destino fa fatica a compiersi. Quelli che abbiamo menzionato sono solo gli ultimi episodi di una lunga storia di no che data ormai cinquant’anni. Mentre nei sussidiari per le elementari e nelle articolesse dei quotidiani più prestigiosi si tessevano le lodi del grande sogno Europeo, milioni di cittadini di quegli stessi paesi che le elites volevano spingere a forza nell’ovile di Bruxelles si ostinavano a opporre il gran rifiuto. Eppure, ogni volta, lorsignori han ricominciato a tessere la tela di un progetto che è tanto anti-democratico e sclero-burocratico nei fatti quanto idilliaco e bucolico nelle descrizioni. Un work in progress che va contro tutti i principi cardine di quella che dovrebbe essere la buona e nuova politica basata su decentramento, federalismo, territorialità, sussidiarietà, autodeterminazione. La Ue, invece, si regge, in un impressionante gioco di specchi, su prerogative diametralmente opposte: accentramento del potere verso l’alto, erosione delle sovranità nazionali, irrilevanza della partecipazione popolare, irrisione delle tradizioni locali, spaccio del pensiero unico globalista. Per farvi un’idea, è sufficiente che pensiate alla Cupola da cui dipendono oggi i destini degli stati incautamente votatisi alla deriva Comunitaria: la Commissione Europea. E’ l’organo dotato dei maggiori poteri, in primis esecutivi e legislativi, ed è composto da commissari scelti dai governi nazionali (non, quindi, passati al setaccio del voto) in base a non meglio precisati meriti, probabilmente a particolari stelline sul curriculum. Una baracconata che puzza da soviet lontano un miglio e che pure accettiamo come tribunale di ultima istanza deputato a decidere se abbiamo fatto i compiti per casa o se verremo rimandati a settembre. Ergo? Ergo, urge un’operazione di pulizia del linguaggio, semantica e sintattica insieme, che passerà attraverso nuove consapevolezze. Dobbiamo finirla di farci impiantare nella coscienza chip metaforici veicolanti sogni e desideri altrui. Dobbiamo riappropriarci della sostanza e del senso delle parole e smetterla di farci manipolare. La Bce non è la nostra banca, è un coacervo di istituti privati che detengono un potere che dovrebbe appartenere a noi e che ci è stato usurpato, così come la Commissione Europea non è il governo dei popoli europei ma una sorta di Minculpop ceceno riverniciato di retorica. Gli Stati Uniti d’Europa non esistono e non esisteranno mai. Sono un costrutto artificiale, non nascono da un afflato autentico e condiviso nè da un idem sentire, sono un prodotto della ‘creme’, non delle masse e, come tutte le fusioni fredde peccano di cerebralità e latitano di cuore. E’ l’esperimento nato morto di un’idea che si ostina a vivere e che aspetta solo il colpo di grazia (che noi dovremmo assestargli). Va messo un freno anche allo scippo dei diritti d’autore su parole positive (e nostre) come nazione e popolo, oggi sistematicamente storpiate in ‘nazionalismo’ e ‘populismo’. Se ami il tuo paese e non vuoi entrare obtorto collo in una nuova entità annacquando la tua lingua, i tuoi valori, le tue tradizioni, non sei un nazionalista e non devi permettere che ti si appelli così. Se contesti gli attuali manovratori del vapore che stanno distruggendo con scientifica precisione un’economia (e una società) europea dopo l’altra non sei un populista, ma una persona di buon senso. Questi primi passi ci condurranno a smascherare le menzogne politiche e le adulterazioni storiografiche su cui si regge la Ue. Tipo che la competizione globale lo esige o che servirà a evitare nuovi bagni di sangue collettivi come le due guerre mondiali del Novecento. Sono specchietti per le allodole. Si può vivere in pace, da buoni vicini, padroni a casa propria, senza annodare mani e polsi al giogo di un padrone talmente lontano da non poterne scorgere gli alluci, figurarsi la faccia. Dobbiamo, in definitiva, coniare da soli le parole d’ordine che ci piloteranno fuori dall’incubo. Perché l’attuale Europa Unita è questo, e nient’altro: un incubo al cubo.

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