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MA ‘NDO VAI SE LA BARBONA NON CE L’HAI

BANANEPensiamo un po’ alle barbe, che ci aiuta. Avrete fatto caso che sono spuntate un po’ ovunque. È barbuto il calciatore, è barbuto il sindaco, è barbuto il commentatore sportivo, è barbuto l’opinionista di grido. Persino la cantante. Ovunque è un tripudio di barboni, più o meno acconciati, lunghi o corti, compatti o striati, ispidi o morbidi. Anche gli intellettuali han capitolato. Li vedi ammiccare dal video con la barba nuova di zecca, la sfumatura cangiante grigio scuro che fa un po’ Old Marx e parecchio New Cacciari. Va bene, ma, stringi stringi, la barba cos’è? Una moda, ovvio. Già, una moda, altrimenti non si spiega perché un orpello di pelo biologico, già simbolo degli espulsi dal contesto civile (non a caso, definiti ‘barboni’), sia oggi un irrinunciabile atout dei vincenti strafichi. Cosicché sei un barbone sfigato se la barba non te la fai crescere. Insomma, dove vai se la barba non ce l’hai?

Dice che bisogna arrendersi, c’è una moda per ogni era come c’è una pazienza per ogni limite, aggiungerebbe Totò. Va bene, ci arrendiamo, non stiamo a crucciarci per il pelo nell’uovo. Ma c’è un ma. E va pur denunciato: si tratta della barba del pensiero. Non la potete vedere o toccare, ma è altrettanto folta e consistente della lanugine da rimorchio. E, come quella, è un tic.   Il tic dei vip, per così dire. Vi si adegua il volgo per fare il verso al Principe e vi si presta il Principe per indicare il ‘verso’ al volgo. Un modo di sragionare appreso, assorbito per osmosi e fatto proprio dalle masse e da chi dovrebbe orientarle, i meditabondi maitre a penser. Partiamo dalle prime per arrivare ai secondi: la percentuale di elettorato che gradisce il PD è, più o meno, la stessa che, fino agli Ottanta inoltrati, votava il PCI. Senonché, il PD col PCI c’entra quanto Belzebù con l’acquasantiera, è un’altra faccenda, un’escrescenza barbuta sbocciata su un corpo di sana e glabra costituzione. Passato dalla venerazione per l’austerità di vita e di costumi, all’adorazione dell’intensità di crescita e consumi. Badate bene che, grosso modo, parliamo delle stesse persone o, almeno, delle stesse famiglie, figli di genitori comunisti che forse moriranno renzisti. Eppure, la metamorfosi è avvenuta senza scosse, con la stessa disinvolta nonchalance con cui un paese di mascelle senza pelo si è trasformato, nel volger di un mattino, nella terra degli gnomi barbuti. È una moda, non c’è un perché, direte. Ed è vero, ma ci narra anche di quanto evanescenti siano le nostre credenze e di quanto risultino artefatte e pilotate. Milioni di persone già invaghite dell’ascetico, puritano Berlinguer oggi mettono una croce sul PD e quindi sulla Merkel, su Junker e la Lagarde. Dopotutto, sempre di austerity si tratta, no? Solo che lì era un fatto di testa e di cuore, qui è un fatto di pancia e di sfintere. Allora un imperativo etico: non si vive per consumare. Oggi un dovere patetico: si deve consumare per sopravvivere. E gli epigoni del leader ti parlano del bisogno di stimolare la domanda con la stessa spocchia con cui i loro padri disprezzavano l’offerta. Fulminati sulla via di Damasco, si sono scoperti liberali, liberisti e pure libertari, alla Pannella. È un fatto di barba, insomma. Va tanto di moda. Sto dicendo che gli elettori del PD ancheggiano con la movida del momento? Non lo dico io, lo fanno loro e l’intellighenzia di riferimento fa anche peggio. Non c’è niente di più indigesto (a parte certi slogan dei sodali del premier) della plastica adattabilità con cui i filosofi bacchettoni anti sistema si sono trasformati nei paladini dell’era che avanza. Furiosamente inclini a patrocinare le virtù taumaturgiche delle aree di libero scambio, dell’inflessibile flessibilità mortificante i lavoratori che un tempo si piccavano di rappresentare. Tutta gente col pelo sulla faccia (e sullo stomaco) ignara dei motivi per cui dovette traghettare all’altra sponda. Purtroppo, la massa e il guru di riferimento vanno di conserva, entrambi dove li porta il cool. Tanto, non c’è mica da studiare granché per tramutarsi in alfieri dell’economicamente corretto. Basta declinare in varie desinenze il nuovo Verbo: c’è da crescere, da fare le riforme strutturali, da allargare il precariato, da allungare l’età contributiva, da restringere gli spazi di dissenso. Non è difficile, dai, non più di quanto lo sia chiazzare le guance con la peluria del terzo millennio. Gente barbuta sempre piaciuta. Oggi. Ma ieri? Ieri è un’altra storia, il mondo cambia, si deve cavalcare il mutamento, bisogna concorrere con le macro dimensioni del Duemila, mica avvinghiarsi alle micro sicurezze del Novecento. E così ti ritrovi i vecchi arnesi dell’avanguardia proletaria, del potere operaio, della lotta continua che, un po’ stanchini tipo il barbuto Forrest Gump, hanno finito per adattarsi allo Spirito del Mondo. È la moda e solo la moda paga. I maestri (pur di essere pagati) seguono i diktat della committenza, li ascoltano, li digeriscono e poi sbobinano i compiti per casa: si fanno crescere la barba e discettano sull’ansia del rigore e sulla mistica del debito. Allora la gente vota credendo di scegliere e invece applica i comandamenti ‘barbuti’ dell’Evo Competitivo. Gli intellettuali scrivono illudendosi di decifrare un’epoca e invece si fanno comandare dalle medesime password che indottrinano le masse. È un circuito vizioso che asseconda le esigenze dei Mercati. Una volta si pensava a la gauche proprio come, agli albori del secolo breve, si vestiva alla marinara. Oggi si pensa global e si va di barba. Fatevela crescere, se volete competere, ma che sia bella fitta, mi raccomando, che non ci resti impigliato qualche sussulto dubbioso, una traccia di vita intelligente, una domanda malandrina sui mandanti della moda, per esempio. Tira più un pelo di (questa) barba che un carro di buoi, fidatevi. Un momento: Renzi la barba non ce l’ha. Certo, ma lui mica è uno che tira. È uno che si fa tirare.

 

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