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NIKO E IL NEMIKO

nikoC’è una lettura interessante dell’improvviso voltafaccia di Rosberg, il neo campione del mondo di Formula Uno autore del gran rifiuto. Niko ha detto che se ne va, molla tutto, lascia il tavolo da gioco, si piglia le fiches guadagnate e si prende una vita sabbatica. Prima considerazione: la sua scelta ha fatto più rumore di un vecchio motore turbo aspirato, di quelli veramente casinari, non come i silenziatissimi cavalli delle monoposto di oggi. E sapete perché? Va in controtendenza rispetto ai totem del mondo di cui la Formula Uno odierna è simbolo insuperabile. La gara annuale tra le macchine da trecento all’ora rappresenta la sintesi perfetta della Filosofia Uno, cioè dell’Unico Pensiero oggi tollerato dai detentori del Potere, iniettato fino all’overdose nella cultura di massa, imposto ai bambini dalle scuole elementari: Crescere & Competere. Detto altrimenti (così vi suona meglio): Crescita & Competitività. Chiamiamolo pure il Nemiko. Il musetto a squalo di una Mercedes e la sua pinna d’argento – perennemente prime sotto la bandiera a scacchi – sublimano le due coordinate dell’Evo Competitivo con terribile e tecnologica brutalità. Non si tratta di snobismo per la Formula Uno e tantomeno per lo sport in generale. Ogni sport, da sempre, è la risultante della stessa ossessiva moltiplicazione: competere per crescere uguale vincere. Ma solo oggi lo sport, e in particolare la Formula Uno, sono divenuti così densamente rappresentativi dello spirito di un’epoca. Nei decenni scorsi applicavamo la tensione spasmodica a primeggiare solo (o anche o soprattutto) al gioco e nello sport. Oggi lo facciamo ovunque, in qualsiasi ambito della nostra vita. Ecco perché la decisione di Rosberg risulta incomprensibile e sconvolgente (Briatore l’ha definita ‘molto molto strana’). Essa non è solo un fatto privato che riguarda un piccolo grande talento un po’ stanchino come il Forrest Gump del film di Tom Hanks. È, piuttosto, un gigantesco fatto pubblico, una sorta di ribellione morale trascendente i fatti piccini piccini picciò di un mondo super dorato e ultraricco come quello dei paddock di Dubai o della Malesia. Poi c’è un’altra faccenda, di cui Rosberg si renderà conto da dopodomani, smaltita la botta di adrenalina per la vittoria conquistata e la sbornia di felicità per la libertà ri-conquistata: e adesso che fare? Perché se la civiltà attuale è inumana in quanto tarata solo sulla competitività, l’essere umano è umano anche in quanto competitivo. Come insegnano le storie di altri super atleti capaci di dire basta all’apice del successo (da Borg a Platini a Stoner) poi la loro vita ha continuato a reclamare una dannata dose di agonismo. Quindi non possiamo non chiederci: e adesso che farai Niko? Forse la quadra sta nella via strettissima tra lo smettere di competere perché ce lo impongono e il non competere affatto perché ce lo imponiamo. Insomma, la ricetta potrebbe consistere in roba tosta e da maneggiare con cura: qualcosa in bilico tra il senso della nostra vita e la necessità di migliorare noi stessi. Rosberg non ci fornisce la risposta ma – anche solo per averci posto davanti alla domanda – vale la pena di ringraziarlo.

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