Di fronte a taluni, recenti, terribili fatti di cronaca (con violenze gratuite perpetrate da soggetti più forti contro individui più deboli) una delle reazioni più diffuse, autentico riflesso condizionato, ruota intorno al concetto di ‘valore’: siamo una società senza valori, abbiamo perso i valori di una volta, i giovani sono disorientati e alla deriva perché mancano di valori. Poi, la cosa si chiude lì perché tutti danno per scontato di sapere di quali valori si sta parlando e quindi di conoscere il cratere morale che ne è derivato e su cui prendono corpo e piede gli eventi orribili di cui ci parlano i media e, più in generale, la deriva nichilista della nostra società. Il convitato di pietra di tutti questi discorsi sono, appunto, i valori, le virtù. Si ciancia di valori, in generale, ma nessuno specifica di quali valori, in particolare. I valori restano ignoti come militi perduti. A parte due: quello della crescita, della concorrenza, della competitività veicolato – soprattutto e perlopiù – dalla stampa e dall’intellighenzia di impronta laica e quello dell’accoglienza, della solidarietà e del buon cuore propagandato – soprattutto e perlopiù – dalla stampa e dall’intellighenzia di radice cattolica e ‘progressista’. Quindi la piattaforma etica a disposizione dei nostri ragazzi si riduce a questi due comandamenti: siate produttivi e siate ‘buoni’. Due richiami sostanzialmente inutili e sicuramente inidonei a innescare un percorso ‘virtuoso’: il primo perché troppo avvelenato dall’interesse egoistico di un Sistema sbagliato, il secondo perché troppo vago e puerile. In definitiva – e tolte le due irrilevanti eccezioni di cui sopra – il problema si riduce a questo: non è solo (o tanto) la società a ritrovarsi senza valori, quanto piuttosto i suoi vertici intellettuali e religiosi ad averne smarrito la lista. Eppure, tutte le tradizioni culturali, filosofiche, spirituali di ogni epoca e latitudine, quella lista ce l’hanno avuto e ce l’hanno ancora. Senza scomodare Platone, Aristotele o il Bushido, noi potremmo ricorrere alle cristianissime virtù teologali e cardinali. Fede: confidenza in un Potere trascendente e superiore in grado di guidare e orientare la nostra vita. Speranza: fiduciosa attesa dell’esito favorevole degli eventi anche all’interno di un tunnel senza luce. Carità: attenzione amorevole alle necessità altrui, oltre che alle proprie. Prudenza: ragionato e oculato governo dei propri progetti e dell’agenda delle personali priorità. Temperanza: saggio autocontrollo delle pulsioni e degli istinti. Giustizia: sensibilità e sollecitudine per un’equa ripartizione delle risorse e per l’esigenza di rendere a ciascuno il suo. Fortezza: resistenza e resilienza di fronte agli ostacoli e alle avversità e risoluta volontà di farvi fronte e di rimettersi comunque in piedi, a dispetto dei rovesci. Come vedete, sono sette, sono poche, ma sono anche dense dell’intramontabile saggezza dei secoli e di una visione ‘alta’ dell’esistenza. E dentro, a ben rifletterci, c’è davvero tutto quanto serve per l’ambiziosa impresa di una vita virtuosa. Non solo buona, non solo produttiva: virtuosa. Ma forse è davvero troppo per un’epoca che ci ha talmente riempiti di tutto da averci privato dello spazio per farci stare sette ‘piccole’ virtù.

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