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Il sì, il no e la democrazia secondo Mussolini

Uno degli argomenti più gettonati tra gli attivisti e propagandisti del SI’ al referendum sul taglio dei parlamentari è quello dell’efficienza. Tagliare duecentototrenta deputati e centoquindici senatori renderebbe il sistema più efficiente. Da scompisciarsi dal ridere. Il numero attuale di rappresentanti del popolo venne definitivamente stabilito con la legge costituzionale nr. 62 del 1963. E ciò accadde per volontà quasi unanime, da destra a sinistra, di una classe politica che vantava esponenti come Alcide De Gasperi o Luigi Sturzo.

Insomma, autentici giganti sul piano intellettuale e morale, soprattutto se rapportati a certi attuali nani da giardino. Prima di allora, il numero era variabile in rapporto alla popolazione: un deputato ogni ottantamila cittadini e un senatore ogni duecentomila.

Avevano capito che il senato era sottodimensionato proprio sul piano della efficienza: i senatori erano troppo pochi per la produzione normativa necessaria. E parliamo di un’epoca storica in cui la popolazione italiana viaggiava intorno ai cinquanta milioni di abitanti circa contro i sessanta milioni odierni; di un’era enormemente meno “difficile” di quella attuale; di un periodo in cui il processo incessante di razionalizzazione e sistematizzazione della complessità non richiedeva certo il profluvio di leggi, regolamenti, ordini, discipline di oggi.

E allora perché, improvvisamente, ci raccontano che un parlamento quasi dimezzato lavorerebbe meglio, in modo più “efficiente”? La risposta è semplicissima ed è la vera ragione (non detta) dietro la strategia dei veri ispiratori (non dichiarati) del referendum: i nostri parlamentari, già ora, praticamente si limitano a una mansione notarile. Perché già ora, a ben vedere, il grosso del lavoro lo delegano altrove, in alto loco o, comunque, in “altro” loco.

Pensate al fatto che almeno un terzo della produzione legislativa, cioè delle regole cui noi dobbiamo obbedire, vengono partorite, scritte e limate dalla Commissione europea. In forza della legge 234 del 2012, i nostri parlamentari entro il 28 di febbraio di ogni anno devono limitarsi, come bravi scolaretti col fiocco blu, a copia-incollare le decisioni di Bruxelles. Trasformandole, con un tocco di bacchetta tragica, in leggi italiane. Oppure pensate al fatto che sempre più spesso è il Governo a legiferare per decreto, salvo poi mettere la fiducia in sede di conversione.

O, infine, pensate a quante volte, di fronte agli argomenti più disparati, viene demandato il compito di decidere ai “competenti”, agli “scienziati”, agli “esperti”. Centinaia e centinaia di sconosciuti signori di buone letture, di buone maniere, di buona reputazione, ma votati da nessuno. Il trionfo della cattiva democrazia.

Ecco svelato l’arcano: di parlamentari possiamo farcene bastare quattrocento, o anche due, per il semplice fatto che essi sono la foglia di fico sulle pudenda del nuovo regime. Sotto un certo aspetto, hanno ragione lorsignori: tagliando i parlamentari, o magari il Parlamento già che ci siamo, diventa più efficiente la macchina pseudodemocratica al servizio delle oligarchie effettivamente dominanti.

Torna in mente quel telegramma spedito da Benito Mussolini, uno che di dittature se ne intendeva, al sommo maestro della manipolazione delle masse, Gustave Le Bon: “La democrazia è il regime che dà o cerca di dare l’illusione al popolo di essere sovrano”.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com

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