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Come ti rottamo il maschio e la famiglia tradizionale con la favola del “patriarcato”

Nella terribile vicenda dell’omicidio efferato di Giulia Cecchettin c’è una chiave di lettura logica, razionale, evidente. Ma ne è stata imposta un’altra assurda, contraddittoria, strumentale. E non è un caso che la prima l’hanno impiegata, d’istinto, i genitori del giovane assassino che lo conoscevano, e lo conoscono, ovviamente meglio di qualsiasi altro pensoso intellettuale o autorevole anchor man. “La sua testa ha smesso di funzionare, il maschilismo non c’entra”, ha detto il padre di Federico Turetta. Sottolineando come solo la psichiatria, ma forse nemmeno essa, può dar conto di una simile, brutale violenza scatenatasi, a colpi di coltello, contro una vittima inerme.

L’altro approccio è quello con cui ci hanno ammorbato, negli ultimi giorni, le televisioni  e la carta stampata a trecentosessanta gradi, acca ventiquattro  e a tambur battente. Inscenando una sorta di ipnotico rito sciamanico, un vero e proprio rituale primitivo, in cui la ripetizione ossessivo-compulsiva di una “formula” menzognera ha reso quest’ultima “vera” e “sentita”; al punto da essere propalata quasi da chiunque e pressoché ovunque.

Ecco confezionati, in un battibaleno, i nuovi mantra: viviamo in una società “patriarcale” dove un certo modello di famiglia “tradizionale” necessariamente, e senza soluzione di continuità, conduce – con chirurgica e ineluttabile precisione – all’omicidio di Giulia da parte di Federico. Una spiegazione, abbiamo detto, assurdacontraddittoriastrumentale. Assurda perché nessun fenomeno sociale, per quanto negativo o deprecabile (dal maschilismo al sessismo al machismo) può porsi in linea di serialità causale con un massacro all’arma bianca; non più di quanto l’adolescenza potesse esserlo con la tragedia di Novi Ligure, o la maternità con il delitto di Cogne o il legame coniugale con la strage di Erba.

Ma trattasi di una spiegazione, altresì, contraddittoria perché “contraddetta” dai dati di realtà: di società patriarcale, quantomeno nel nostro Paese, si poteva forse parlare un secolo fa, ma non risulta documentato che quel modello (per quanto biasimevole) producesse a getto continuo mattanze come quella cui abbiamo assistito; soprattutto, se mai c’è stata una società anti-patriarcale in cui la figura del “padre” è stata più svilita, destrutturata, depotenziata, addirittura oltraggiata, se mai c’è stata una società in cui la categoria, il concetto e il ruolo naturale del maschio e del maschile sono stati più irrisi, degradati e vilipesi (al punto da farli degradare da immodificabile dato genetico a mero optional estetico-funzionale e prêt-à-porter), se mai c’è stata una società in cui più spinto, sospinto e sponsorizzato è stato  lo sdoganamento di ogni format di convivenza diversa da quella della famiglia tradizionale, ebbene quella è proprio la società in cui viviamo.

Una spiegazione, infine, strumentale perché usa cinicamente un dramma incommensurabile, dalle dimensioni psicologiche e morali probabilmente imperscrutabili, per imporre una lettura sociologica d’accatto: un “salto quantico” interpretativo in cui, improvvisamente, l’unico autentico colpevole si dissolve in lontananza e, in suo luogo e in sua vece, si esige una sorta di incriminazione di massa; dove tutti i maschi, in quanto tali, sono responsabili dell’omicidio di Giulia. Anzi, lo è la “cultura patriarcale” in senso lato, qualsiasi cosa significhi questo termine ridicolo.

Il fatto stupefacente è che l’opera alchemica di incantamento collettivo funziona così bene che ci sono cascati a milioni. E passi per il cretino “istituzionale” di sinistra, vale a dire l’attore, il cantante, il calciatore usato, a sua insaputa (vale a dire a insaputa del di lui modestissimo intelletto) come manovalanza mediatica (oggi si dice “influencer”) da una ben precisa area ideologica.  Il problema è che il tranello funziona benissimo anche con l’uomo della strada tanto è efficace, ed efficiente, il coro suggestivo e manipolatorio del mainstream. Quindi, urge un correttivo sotto forma di “demistificazione” che può venire solo dalla più antica, e potente, delle domande: perché? Rivolta non all’omicidio di Giulia, ma alla canea urlante che ne è seguita e che ha preteso di trasformare questa orribile storia nell’incipit di una campagna di rieducazione popolare.

Ebbene, gli obbiettivi non dichiarati, ma distinguibili osservando la faccenda in “controluce”, sono almeno due. Il primo è la famiglia tradizionale che va definitivamente spolpata (più di quanto non sia già stato fatto sinora) additandola come sentina di ogni nequizia. Quando vi parlano di “patriarcato”, lorsignori hanno in mente il nucleo “naturale” della società (così definito dalla Costituzione) “costituito”, appunto, da uno o più figli, da una madre e da un “padre”. Il padre è il primo “oggetto totemico” contro cui è indirizzata la furibonda battaglia di “luddismo” lessicale e semantico cui stiamo assistendo. Si incita a un odio livoroso nei confronti della “paternità” perché –  spazzato via l’architrave del nucleo più antico di convivenza sociale –  viene travolta anche la possibilità e la “dicibilità” stessa di quel tipo fisiologico di famiglia. Così che “altre” possano finalmente prenderne il posto per godere di ben più estesa diffusione e di ben più alta considerazione.

Il secondo obbiettivo è, invece, il “maschio” in sé e per sé. Non, badate bene, il “maschilismo” (inteso come declinazione deteriore, e criticabile, dell’essenza, della funzione e della stessa “esperienza” maschile), ma proprio l’uomo tout court. Chiunque lo sia deve sentirsi in colpa come se fosse stato marchiato a fuoco, nel venire al mondo, da un peccato originale, da uno stigma cromosomico, da cui deve emendarsi e di cui deve fare ammenda, a prescindere.

Al centro del mirino, insomma, non c’è una pretesa “superiorità” del maschio, ma il fatto stesso che si pretenda (da parte della natura) di marcare, fin dalla nascita, una differenza, irriducibile e innegabile, tra maschio e femmina. Quella differenza esiste, e tutti lo sappiamo, ed  è la fonte stessa della ricchezza ineguagliabile, proprio perché reciprocamente “scambievole”,  di un fecondo rapporto di coppia tra uomo e donna. Oltre ad essere una risorsa imprescindibile per il retto sviluppo non solo degli individui, ma della società intera. Eppure, quella differenza oggi deve sparire. Dunque, il testimone “vivente” della medesima, il “maschio”, deve auto-castrarsi o, almeno, farsi silenziosamente da parte.

Da qui le impressionanti ricadute di questo epocale fenomeno di lavaggio del cervello che porta innumerevoli poveretti a “chiedere scusa” per il lucido e deliberato eccidio a sangue freddo (da altri commesso) di una ragazza innocente. Chiaramente, questo ambiziosissimo progetto di de-mascolinizzazione e de-virilizzazione a tappe forzate della società va letto in sinergica sincronia, e in combinato disposto, con l’avanzata petulante  ed isterica della propaganda lgbtq, con la promozione surrettizia della  teoria gender nelle scuole sotto le mentite spoglie di una “educazione sentimentale”, con l’esaltazione della “filosofia” secondo cui il sesso è un abito da cambiare a seconda degli umori,  e delle stagioni, e l’essere donna o uomo dipende da una variabilissima dichiarazione di intenti anziché da una immutabile casualità biologica.

Da ultimo, ritroviamo un altro grande “classico” delle più usate (nonché ancestrali) tecniche di obnubilamento della coscienze: la “colpa” e il senso di colpa che, insieme alla “paura,” è il medicamento più indicato contro l’indipendenza di giudizio e lo spirito critico. La colpevolizzazione è in grado di fare miracoli nel coartare una personalità, piegandola ai voleri di un regime. È lo stesso meccanismo, per intenderci, sotteso al “Black Lives Matter” e all’inginocchiamento dei giocatori sui campi di calcio prima delle partite o connesso alla “cancel culture” e a tutta la paccottiglia della cosiddetta ideologia “woke”.

Per concludere, un’altra domanda cruciale: c’è modo di reagire a tutto ciò? Forse sì; magari non sul piano generale perché il vento dell’impostura soffia troppo forte per riuscire a contrastarlo frontalmente. Ma sul piano personale abbiamo il dovere di resistere. E per resistere c’è una sola strada: svegliarsi. Prima di cadere preda dei nuovi pifferai di Hamelin.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com

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