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DONALD TRAMPOLINE

TRUMPL’America si conferma la terra degli outsider. Dopo Clinton, dopo Bush, dopo Obama, ecco un altro american dream incarnato dall’uomo fattosi da sé di nome Donald Trump. Patrimonio stimato in 9 miliardi di dollari, inserito da Forbes nella lista dei più ricchi magnati del pianeta, il vecchio Donald è uno talmente bravo che non ha neppure dovuto sfondare perché (ricco) sfondato ci è nato, appunto, da sé. Ma prescindiamo dalle sue origini e concentriamoci sulle sue promesse. Ce n’è una da mettere i brividi. Il tipo (uno che parla semplice, alla pancia dell’uomo medio, che non ha peli sulla lingua, solo  sul toupè) ha detto: “Fatemi entrare alla Casa Bianca e vi dirò chi c’è dietro l’undici settembre. Scoprirete chi ha veramente abbattuto il World Trade Center”. I principali leader mondiali e i dirigenti più informati delle più informate catene televisive del globo hanno fatto un salto sulla sedia e, per poco, non gli è venuto un coccolone: “Ma questo è scemo, ma vorrà mica fare sul serio?”. È partita una sfilza di telefonate incandescenti tra i centralinisti delle panic room dell’elite globalizzata da far impallidire il celebre telefono rosso di Kruscev e Kennedy. Anche ai servizi segreti di mezzo mondo gli è partito l’embolo, si sono consultati con gli opinion leader sforna veline, hanno partecipato a breefing molto riservati e, alla fine, pressa di qua, spingi di là, sono riusciti a venire a capo della faccenda, hanno trovato un interlocutore diretto tra i fedelissimi del candidato repubblicano e hanno ottenuto che facesse da pontiere con Capitan Futuro, resosi conto, nel frattempo, di aver rischiato grosso. L’astuto è corso ai ripari, con questa rettifica: “Quando entrerò alla Casa Bianca scoprirò gli altarini nascosti, perché c’erano dei documenti lì dentro ed erano molto segreti. Potreste scoprire che ad abbattere le due torri non sono stati gli iracheni, ma i sauditi, va bene?”. Sospiro di sollievo universale. Al buon Donald son tornati a girare i neuroni sotto il parrucchino. E ai suoi colleghi delle capitali più in vista (e delle intelligence meno in vista) hanno smesso di girare i maroni. Sembrava la gaffe del secolo. E invece era solo una trovata pubblicitaria, un giochino linguistico, un trampolino retorico verso Washington DC. Però c’è da capire l’epidemia d’ansia generalizzata. Per un attimo, un po’ dappertutto, le alte sfere avevano temuto che Mister Probably President volesse davvero dire la verità.

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