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E’ l’A-Democrazia, bellezza!

Ci toccano i dieci saggi, un’eccentrica invenzione post-costituzionale di un presidente della repubblica post-comunista di un regime post-(cioè a-)democratico. Badate bene, a-democratico è altra cosa da anti-democratico. Il prefisso del secondo aggettivo implica una lotta aperta e senza quartiere contro i pilastri della partecipazione popolare e della rappresentanza parlamentare. Anti-democratico fa rima (ideologicamente parlando) con totalitario e assolutista.

E’ un sistema facile da vedere e pre-vedere. Ti impediscono di parlare, dire la tua o accedere ai luoghi istituzionali dove un voto libero si traduce in un seggio indipendente. Così tu ti dai alla macchia e fai la resistenza, oppure stai schiscio in attesa di tempi migliori. In ogni caso, sai cosa sta succedendo, te ne accorgi, perché il potere ha una maschera occhiuta e ben identificabile e picchia duro. Nella dimensione a-democratica in cui siamo approdati, invece, il sistema non è contro la democrazia, non la avversa in modo manifesto, anzi si paluda di retorica, allegorie, vestigia democratiche, ma volge inesorabilmente nella direzione opposta. E diviene un luogo della coscienza dove le decisioni non promanano dal basso, ma propalano dall’alto e la regola aurea è la cooptazione. Nei territori della a-democrazia, non si viene eletti, perché non è necessario. Semmai, si è ‘eletti’ a priori, a prescindere dall’investitura dell’urna, per mera appartenenza ai giri che contano, ai salotti che tirano, alle consorterie che tramano. Così, alla bisogna, si diventa senatori per nomina ‘regia’, ministri per convocazione, sottosegretari per tocco; ma, si sa, quando le cose buttan male, per la legge di Murphy si avvitano sempre in peggio. Così, nel Gran Reame a-democratico, se si fatica a mettere insieme un governo, il Capo dello Stato, escogitando letteralmente dal nulla, sceglie dieci sapienti per scrivere le tavole della legge su cui dovranno convergere i consensi degli opposti schieramenti a venire. A raccontarlo solo qualche anno fa, chi mai avrebbe, non dico accettato di subirlo, ma anche solo osato di pensarlo? E se ci avessero detto che sarebbe stato un Presidente già comunista, orgoglioso reduce del partito degli operai e dei lavoratori, a ideare la trovata? Eppure. Eppure il processo a-democratico è un sedativo killer, lento quanto letale. Inconsistente come un gas venefico, ma altrettanto efficace. Non colpisce a macchia di leopardo, ma si insinua ovunque. Attecchisce a destra e a sinistra, in alto come in basso e non fa prigionieri. Pensate alla cosiddetta ‘costruzione europea’: è un esempio sublime di a-democrazia, dove c’è un giocattolone come il Parlamento in cui facciamo finta di mandare coloro che dovrebbero rappresentarci e decidere in luogo nostro e poi non decidono una fava perché non possono. Lo han chiamato Parlamento, ma si son dimenticati di dargli competenze normative, capite? Poi, a onor del vero, ci sono dei signori che si chiamano commissari europei che nessuno ha mai eletto e che vengono scelti di grazia o per grazia (ricevuta) tra le ‘personalità di spicco dei paesi di appartenenza’ e fanno e disfanno obbrobri giuridici detenendo il potere di iniziativa legislativa. Vi ricordano i dieci saggi di Napolitano? Esatto. Vi ricordano Monti senatore a vita? Esatto. Vi ricordano i ministri tecnici? Esatto. Sarà mica che l’intera, commovente, tenerissima avventura comunitaria come ci è stata zuccherosamente raccontata dai tiggì negli ultimi quarant’anni è un ciclopico divoratore di democrazia? Anzi, una fabbrica di pensieri-parole-opere-omissioni a-democratici? Esatto. Ma il compimento dell’a-democrazia non si è verificato là fuori, mentre eravamo distratti e ci imbullonavano le sbarre da cui siamo rinchiusi (per il nostro bene, va da sé…). Il suo trionfo conclusivo si è consumato dentro le nostre teste quando ci hanno persuasi che le istituzioni democratiche non servono più. Sono orpelli superati, costi insostenibili, mangiatoie per papponi. E allora basta con le province, basta con le realtà territoriali di base, dimezzamento dei parlamentari, subito, adesso, immediatamente! Vi rendete conto che non c’è un solo povero disgraziato in parlamento che dica il contrario? Ci hanno convinti che non abbiamo più bisogno di noi stessi per governare. Ecco la perfezione adamantina del pensiero a-democratico, la subdola tortuosità della sua forza: far bramare alla vittima il veleno che la ucciderà. Come indurre i pazienti di un nosocomio a protestare perché ci sono troppi letti, dottori e macchinari, o fomentare gli studenti di una scuola a occuparla perché è ora di finirla con tutti questi spazi e strutture e palestre e laboratori. Incantandovi con la minchiata della casta vi hanno condotti nell’eden dell’a-democrazia, dove non sarà necessario urlare ‘ladri’ ai politici perché di politici non ce ne saranno più. Solo personaggi dabbene, commissari, tecnici, saggi, sapienti, illuminati, professori emeriti, premi Nobel, premi Pulitzer. Possibilmente con triplo o quadruplo cognome, che oggi va tanto di moda, come avrete notato. Tutti d.o.c., a denominazione di origine cancellata, di cui ignoreremo le vere ragioni per cui sono là a comandare e noi qua ad obbedire. Ma il bello della a-democrazia è proprio questo. Non dobbiamo preoccuparci più di nulla. Come nella Repubblica di Platone, nella Città del Sole di Campanella, nell’Utopia di Thomas More, nell’Europa Unita ante litteram di Saint Simon: il sapere di pochi per il bene di tutti.

 

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