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GLI ELETTI E LE ELITES

elitesCi sono domande che dovrebbero tormentarci. Per esempio, com’è che siamo arrivati al punto di voler contare sempre meno? Perché, mentre un sol uomo in Italia si lamenta di non avere ‘agibilità politica’ o di rischiare di perderla per sempre, tutti gli altri esigono l’esatto contrario? Fatevi due conti.

Aldilà dei dettagli cromatici o simbolici, votiamo, per la gran parte, movimenti che vogliono la riduzione degli ambiti di democrazia diretta.  E quanto più lo vogliono, tanto più ci piacciono. È  un’epidemia. Tutti sono confusi su tutto, tranne che su un punto: il popolo va tenuto fuori dalla stanza dei bottoni.  È una gara a comprimere gli spazi dove il potere viene assegnato non per  censo o per meriti, ma per investitura popolare, perché una quota sufficiente di consociati ha ‘eletto’ (cioè scelto) così. Era e dovrebbe essere il nostro credo non negoziabile. Dopotutto, Illo tempore, uscimmo da una dittatura giurando che non ci saremmo ricascati. In un’epoca in cui il peso delle lobbies e delle corporations condiziona la politica fino a soffocarla, dovremmo essere fanaticamente gelosi delle aule  da cui scaturiscono le decisioni che ci riguardano. Per farla breve, più assemblee elettive, più seggi in quelle assemblee, più opportunità di accedere a quei seggi. Insomma, quanto più si sono rafforzate le tentacolari spire di potentati opachi, privati, a-politici, tanto più dovremmo dar forza, numero e consistenza ai nostri eletti. Elementare Watson. E allora perché sta succedendo il contrario? Per tornare a bomba, com’è che stiamo, a furor di popolo, invocando e applaudendo l’abolizione delle province, l’eutanasia di una camera del parlamento e la castrazione dell’altra, beatamente lieti che il Senato si tramuti in una covata di lord annoiati? Chi alza la voce lo fa solo per accelerare il processo. Un ragazzotto toscano con la pronuncia aspirata dalla natura e la strategia ispirata altrove ha convinto il suo partito a votarsi alla distruzione delle agenzie di rappresentanza. Anzi non lo ha convinto, lo ha raso al suolo, maciullando la pletora di nani che lo guidava prima. Questo partito, che di nome  fa ‘democratico’ (impareggiabile ironia della sorte), manda le sue amazzoni in tv a spiegarci che su tutto si può dibattere tranne che su un principio inviolabile: il senato non dovrà essere elettivo. Quanto ai deputati, li ridurranno a poche centinaia in attesa di liofilizzarli a una decina e poi, magari,  a due così salvaguardano il bipolarismo. Il Presidente gradisce, i partiti gradiscono, la grande stampa gradisce, gli intellettualoni della domenica (che il nostro disgraziato paese si ritrova) gradiscono, gli studenti (che quarant’anni fa, per molto meno, tiravano le molotv) gradiscono. Perché? La risposta è nel clima. Un clima mentale, una temperie culturale, una bolla emozionale che un sociologo come Moscovici avrebbe definito ‘rappresentazione sociale’. Cos’è? E’ una tenace credenza diffusa, un dogma collettivo, una moderna mitologia che affratella e rende solidali i membri di una società inducendoli a interpretare la realtà in un modo univoco e conformista  oltre che dotato di senso. E a coltivare gli stessi desiderata.  Queste ciclopiche e immateriali matrici di pensiero finiscono per autonomizzarsi dai pensatori e nutrirsi delle loro convinzioni, azzerandone spirito critico e capacità di analisi. Nel nostro caso, una sterminata e greve pubblicistica artatamente alimentata ha modellato, nell’ultimo decennio, l’icona mefistofelica della Casta. Che non è il naturale malcontento per il politico ladro (che è sempre esistito e sempre esisterà), ma l’odio primordiale contro tutto ciò che esali un vago sentore di ‘politico’, ‘democratico’, ‘rappresentativo’. Così, grazie a libri, slogan, indagini, inchieste giudiziarie e password basiche insufflate dal tam tam di Nostra Signora Televisione, si è raggiunto lo scopo. Ci hanno dato una mission: distruggere la casta, cioè, in ultima analisi, noi stessi. Perché i lazzaroni presi con le mani nel sacco e usati per gonfiare a dismisura il nostro rancore, erano stati votati da noi (insieme a una miriade di altri onesti). La magia è stata quella di sovrapporre il coniglio al cappello, il criminale al parlamentare, il seggio al peggio, rendendoli indistinguibili. Col risultato di persuaderci che la soluzione non era punire i manigoldi che abusavano del mandato popolare, ma abolire il mandato popolare tout court. Anche perché la casta costa. Ecco l’altro mantra micidiale, l’uppercut che ha mandato al tappeto i nostri neuroni.  Siamo pieni di debiti, quindi dobbiamo tagliare, a partire dalle mangiatoie di questo mondo di ladri. Tombola. Sembra l’era di mani pulite, quando una massa di politici pavidi deliberò, sotto dettatura giudiziaria, l’abolizione della propria immunità parlamentare. Ma quella era robetta rispetto a oggi dove il clima di cui sopra, il mood per così dire, è talmente pervasivo e ‘famelico’ da indurre il Senato della  Repubblica a votare la propria autodissoluzione e da additare al pubblico ludibrio il suo presidente quando, in un sussulto di dignità e coerenza, si permette di dissentire. Ma la beota campagna anti casta proseguirà imperterrita. Ci beccheremo degli oscuri funzionari di regime calati dall’alto come governatori provinciali in cambio dell’impagabile soddisfazione di poter dire che le province sono state abolite. Manca solo che rottamino i comuni e ci mandino i podestà con il fez, ma è solo questione di tempo. Viviamo in un’epoca bizzarra, dove l’incremento geometrico delle fonti di informazione non ha favorito e incoraggiato le scelte ragionevoli, ma le opzioni di pancia. Conviene rispolverare le categorie di uno dei pensatori politici più lucidi e meno noti del Novecento. L’esponente dei cosiddetti elitisti, Vilfredo Pareto, sosteneva che gli uomini si fanno piegare non dalle argomentazioni, ma dai cosiddetti ‘residui’, sottoprodotti emotivi, pulsioni intestine che vengono poi razionalizzate con giustificazioni pseudo logiche (le derivazioni). In questo gioco perverso, diceva Pareto, a fronte della ‘stupidità’ dei governati c’è sempre una élite che sa cosa sta accadendo e vuole farlo accadere. Che sa creare il mood,  potremmo aggiungere. Solo che oggi creare il mood è molto più facile. Con l’arsenale mediatico odierno è un gioco da bambini plagiare la maggioranza, instillando bisogni, mini spot reiterati ad nauseam che poi si tradurranno in pensieri e in atti volitivi coscienti. Tipo smantellare le residue aree di rappresentatività  al grido di ‘basta ladri’ o ‘abbattiamo i costi della politica’. Resta un dubbio. Se noi siamo siamo i governati del teorema di Pareto, chi sono le élites? E i nuovi che avanzano sono al servizio nostro o di queste élites? Ecco altre domande che dovrebbero tormentarci.

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