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Meno Salute per Tutti

Ogni epoca storica ha i suoi cantori. Maestri di pensiero che ne interpretano lo spirito e riescono a porsi come dei punti di riferimento sia per la classe politica sia per l’opinione pubblica. Oggi questo ruolo tocca (in via privilegiata e per meriti acquisiti) a due editorialisti del Corriere della Sera, Alesina e Giavazzi, uno dei quali è stato pure interpellato da Monti affinchè fornisse il suo prezioso contributo di tecnico a un governo che di tecnici, evidentemente, non ne ha a sufficienza.

Le stelle polari che orientano le riflessioni delle due penne di punta del più autorevole quotidiano nazionale sono liberalismo spinto, privatizzazioni, ruolo incontrastato dei mercati, lotta alle corporazioni. Sono, a ben vedere, i cardini dell’ideologia egemone del ventunesimo secolo. L’Europa Unita che è vuota di tutto (principii di valore, passioni civili, aspirazioni ideali), tranne che di solidi postulati economico-finanziari è una tecnostruttura che si regge su tali feticci. Il professor Monti e il suo governo di asettici ministri, disancorati da ogni investitura popolare, persegue una mission ispirata da questi comandamenti e pedissequamente seguita da tutti i partner dell’eurozona. Essa si basa sull’idolatria laica del Mercato e su una concezione dei processi storici in cui non è più l’uomo a orientarli e governarli, ma è piuttosto la sinergia acefala delle cupole bancarie e degli interessi azionari a determinare le sorti degli uomini. Pochi sembrano interrogarsi sul perchè, in corrispondenza con il trionfo senza prigionieri di questa nuova religione si sia scatenata la più devastante crisi della storia del capitalismo. In ogni caso, come tutte le convinzioni consolidate che si trasformano in ideologia o, addirittura, in culto, anche quella di cui parliamo ha i suoi tabù. Parole, frasi, concetti che sono giudicati perniciosi a prescindere perché finiscono per intaccare il cuore inviolabile del pensiero unico e allineato. I tabù, nel tempio della Concorrenza e del dispiegamento senza freni delle forze iperefficienti del Mercato, si chiamano welfare, stato sociale, assistenza pubblica. Tuttavia, il sintagma che più di ogni altro assume, agli occhi dei chierici del dogma, l’accezione più eretica è ‘spesa pubblica’. Se ti permetti di utilizzarlo senza qualificarlo in chiave spregiativa, passi per un dissennato sperperatore dei denari collettivi. La spesa pubblica è in sé qualcosa di obbrobrioso, un pezzo d’antiquariato dell’Ottocento destinato a finire nel tritacarne delle salvifiche privatizzazioni. Ogni tanto, qualcuno infrange il tabù e ne parla e ci spiega qual è il modo giusto di trattarlo, possibilmente ridimensionarlo, in attesa che venga il momento tanto atteso della sua definitiva rottamazione. E’ il caso di un pezzo proprio di Alesina e Giavazzi dal titolo significativo: c’era una volta lo stato sociale. Dopo averci ricordato quanto si sia allungata l’età media della popolazione negli ultimi decenni, gli autori insistono sulla insostenibilità di uno stato sociale come quello attuale che non ci possiamo più permettere. A loro dire non è accettabile che la sanità continui ad essere gratuita per tutti, anche per i ricchi, e auspicano l’avvento di un sistema (guarda un po’) molto più ‘privato’ in cui i cittadini più abbienti si procaccino una bella polizza assicurativa che li copra nel malaugurato caso in cui abbiano necessità di accedere a prestazioni sanitarie. Bene, ci siano consentite un paio di obiezioni. Primo, non si vede per quale ragione i ricchi o i supericchi che maggiormente contribuiscono con l’imposizione fiscale al mantenimento del sistema sanitario nazionale, dovrebbero scontare un’ulteriore marchetta nel momento in cui decidono di accedere al sistema. Quel sistema sta in piedi anche (se non soprattutto) grazie al loro apporto per cui è più che giusto che possano beneficiarne quanto e come gli altri, cioè senza oboli aggiuntivi. Secondo, non è vero, come sostiene il duo dei prestigiosi opinionisti, che tale modus operandi faccia il gioco degli evasori. I furbetti che dichiarano zero continueranno a godere a sbafo delle prestazioni assistenziali, nell’una come nell’altra ipotesi. Terzo, a chi, come il sottoscritto, lavora da decenni nell’ambito delle assicurazioni private è nota una circostanza che probabilmente (e inevitabilmente) sfugge a coloro che non bazzicano questo settore. E cioè che l’ultimo pensiero per una compagnia di assicurazione, nel momento in cui un suo cliente domanda il dovuto sulla base di una polizza stipulata in base alle leggi di mercato, è di soddisfare quel bisogno. L’ultimo, capite? Il primo è quello di controllare che non vi sia un qualsivoglia cavillo che consenta di rifiutare alla vittima della malattia o dell’infortunio la prestazione cui anela. Franchigie, clausole di inapplicabilità, codicilli, interpretazioni estensive o restrittive. Qualsiasi conclusione è preferibile a quella che il poveraccio assicurato si aspetta: e cioè fruire dell’emolumento, del rimborso, dell’indennizzo per cui ha stipulato la polizza. Significa che le assicurazioni sono cattive? Magari dominate da perfidi funzionari o dirigenti capziosi che vogliono il nostro male? Certo che no. Vuol dire solo che fanno il loro mestiere che è quello di massimizzare i profitti e minimizzare le perdite. E per una compagnia di assicurazione il vostro interesse a una copertura sanitaria non è un diritto che vi spetti, ma è un’uscita di cassa da esorcizzare con tutti i mezzi leciti. Non c’è nulla di diabolico, aggiungiamo. E’ la logica del mercato. Se il contratto prevede di potersi aggrappare a un comma nato storto per non dar corso a una richiesta è normale (persino giusto, se volete) che il contraente, forte o debole che sia, lo faccia. In molti stati americani funziona così già da anni e ci sono decine di film (per non parlare dei capolavori di un maestro del thriller come John Grisham) che l’hanno documentato; a buon pro di coloro che non hanno avuto la fortuna di toccare con mano le prassi correnti del sistema assicurativo privato. Ora, siccome certe cose si apprezzano davvero solo dopo averle perdute, cerchiamo di capire per tempo che deve esserci un limite anche alla scure della spending review. Non tutta la spesa pubblica è dannosa e cattiva. E non tutto ciò che è toccato dai Mercati e dalle privatizzazioni è buono. Sarebbe una beffa rendersene conto il giorno in cui ci capiterà di essere rifiutati da un ospedale perché la nostra polizza non è in regola. La proposta di Alesina e Giavazzi (che tutto sommato è persino moderata rispetto a quelle dei falchi della taumaturgia mercatista) ci farebbe approdare a un futuro dove la salute non è più un diritto garantito sempre e comunque, a prescindere dal censo e dall’età, ma un privilegio che scatta solo se è soddisfatta tutta una serie di precondizioni. In caso contrario, ci si ingegna e si soffre. O si muore.

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