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Guerra è pace

La “schizofrenia” della civiltà occidentale, certificata dalla gestione e dagli esiti della pandemia Covid, procede inesorabile. E uno dei sintomi inequivocabili del suo progressivo decadimento cognitivo, morale e spirituale ha a che fare con l’ottavo comandamento: non dire falsa testimonianza. Che, poi, non è un precetto esclusivo della tradizione giudaica, ma anche di quella cristiana, buddhista, islamica e di ogni altro percorso religioso, essoterico o esoterico, di cui vi sia traccia nella storia umana.

Non dire le bugie è talora un consiglio, talaltra un suggerimento, talvolta addirittura, come nel caso del decalogo, un “ordine”. Forse perché mentire è una delle deviazioni etiche patologiche dell’uomo. Di sicuro, perché la quantità, la qualità e il livello della (nonché l’intensità dell’abitudine alla) menzogna rappresentano la cifra stessa della decadenza di una società, oltre che di un individuo. Non a caso il sommo poeta collocò nel penultimo cerchio dell’Inferno i fraudolenti verso chi non si fida e nell’ultimo i fraudolenti verso chi si fida. Nell’uno e nell’altro cerchio, di bugiardi matricolati si tratta.

Ed è questo il motivo per cui oggi vanno tanto di moda le parole “narrazione” e “storytelling” nel mondo dell’informazione (soprattutto quella competente e ufficiale). Non vi sarebbe, infatti, alcuna ragione di “raccontare” o di “narrare” (fole, fiabe e favole) in un contesto in cui la regola del sistema mediatico fosse quella di “dire” semplicemente la verità. Ad ogni buon conto, torniamo a bomba, anzi a “carro armato”.

E cioè al motivo per cui oggi la depravazione della menzogna seriale può dirsi un dato di fatto non solo sostanzialmente compiuto, ma addirittura formalmente acquisito e ufficialmente fatto proprio dalle più alte autorità di Governo, oltre che dal mainstream che le spalleggia e asseconda. Prendete la vicenda delle armi a Kiev. Gli Stati Uniti inviano a Zelensky i carri armati Abrams, la Germania quelli Leopard, la Francia probabilmente i Leclerc.

Ebbene, cosa dichiarano i rispettivi leader urbi et orbi? Olaf Scholz ha detto che “la Germania non diventa parte della guerra in Ucraina con la fornitura di carri armati Leopard”.     Il ministro degli esteri francesi ha dichiarato che “né la Francia né nessuno dei suoi partner è in guerra contro la Russia”. Il tutto dopo che, da mesi, la Francia “e i suoi partner” non hanno fatto altro che inviare armi da guerra in Ucraina alimentando, ogni ora che passa, il rischio di una escalation nucleare.

Queste frasi (che riecheggiano tanto, nella loro meticolosa corrispondenza al falso, altre seraficamente pronunciate in Italia sulla garanzia, per i vaccinati, di trovarsi tra persone non contagiose) sono stupefacenti non tanto per la bugia che contengono quanto per la “coscienza” e l’intenzione di chi le ha pronunciate. Esse somigliano ad altre affermazioni tipo quelle secondo cui “l’Ucraina è il baluardo della democrazia” o “il battaglione Azov non è nazista” o “bisogna lottare a fianco degli aggrediti” (dopo aver allegramente aggredito, a destra e a manca, per anni, dal Nord Africa, al Medio Oriente) o  “la Russia non è stata provocata dalla Nato”.

E allora qual è il salto di qualità da segnalare? Non tanto che i governanti mentono e il circuito mainstream fa loro da megafono. Piuttosto, che prima mentivano sapendo di mentire. Oggi mentono sapendo, o meglio “credendo”, di non mentire. Si sono talmente intossicati con la “roba” tendenziosa, e tagliata male, che i loro tentacoli cartacei, catodici e digitali spargono nell’etere, da aver finito per sposare in pieno l’equazione orwelliana secondo cui menzogna è verità. E, va da sé, guerra è pace.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com

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1 Commento

  • Rispondi
    Emanuela
    20 Febbraio 2023 a 19:36

    Buona sera Francesco Carraro.

    E’stato grazie ad un fortunato interprestito tra una Biblioteca nei miei pressi e quella della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pavia che lo scorso dicembre sono riuscita a leggere un libro di Alice Miller, edito in Italia nel lontano 1993. Un libro rapidamente scomparso dai cataloghi, e ritrovabile, grazie al cielo, ancora e solo in qualche benemerita Biblioteca universitaria, per l’appunto. Il suo titolo è “La chiave accantonata”.

    Provando un’intensa emozione nel poterlo finalmente scoprire, nella sua parte finale mi son trovata dinnanzi a pagine così vere, potenti e “scritte per noi, esseri umani di oggi”, da diventare a pieno titolo e senza incertezza alcuna il mio “Manifesto contro la Guerra”.

    Ecco, allora, il testo di Alice Miller, il mio “Manifesto contro la Guerra”:

    “Ero in cerca di un’immagine per la copertina dell’edizione inglese de Il bambino inascoltato (…) mi sono venute in mente le raffigurazioni del sacrificio di Isacco dipinte da Rembrandt, e in particolare le due varianti di questo soggetto esposte a Pietroburgo e a Monaco: quelle cioè nelle quali la mano del padre copre l’intera faccia del figlio, impedendogli di vedere, di parlare, perfino di respirare. (….) Ho voluto esaminare anche altre rappresentazioni di Abramo e Isacco in un archivio fotografico. Ne ho trovate trenta, eseguite da pittori assai disparati, e le ho guardate tutte con stupore crescente.
    Già nei due dipinti di Rembrandt da me conosciuti avevo notato che Abramo trattiene con la mano sinistra la testa del figlio e leva con la destra il coltello su di lui, ma che il suo sguardo non è rivolto verso il figlio, bensì verso l’alto, come per domandare a Dio se sta svolgendo correttamente il suo incarico. Ho pensato lì per lì che questa fosse solo l’interpretazione di Rembrandt, e che ve ne dovessero essere delle altre, diverse: ma non ne ho trovate. In tutte le raffigurazioni che sono riuscita a rintracciare, lo sguardo, tutta la testa o anche l’intero corpo di Abramo sono distolti dal figlio e rivolti verso l’alto. Soltanto le mani sono intente al sacrificio del figlio. Nel guardare quei dipinti, ho pensato: ecco, qui c’è un figlio, un uomo adulto nel pieno delle sue forze, il quale aspetta tranquillamente di essere assassinato da suo padre; rassegnato, calmo, docile in alcuni quadri, in uno solo piangente, in nessuno si ribella. E in nessuno di questi dipinti si colgono dei “perchè” negli occhi di Isacco; per esempio domande come: “Padre, perchè vuoi uccidermi? Perchè non attribuisci alcun valore alla mia vita? Perchè non mi guardi nemmeno? Perchè non mi spieghi che cosa sta succedendo? Come puoi farmi una cosa simile? Io ti voglio bene, avevo fiducia in te: perchè non mi parli? Che male ho fatto? Che cosa ho fatto per meritare questo?” (…..) E come può far domande un individuo che si trovi con le mani legate sull’altare sacrificale, mentre la mano del padre gli impedisce di vedere, di parlare, di respirare? Quell’uomo è ridotto ad un oggetto. La designazione a vittima lo ha disumanizzato, non ha più diritto di formulare domande, e gli interrogativi non possono quasi più affiorare in lui perchè dentro di lui non c’è posto che per la paura.

    Seduta in quell’archivio fotografico, intenta ad osservare quei dipinti, ho improvvisamente ravvisato in essi la rappresentazione simbolica della nostra situazione odierna. Si producono armi, ininterrottamente, e sono armi in tutta evidenza destinate a distruggere la prossima generazione. Eppure coloro che incrementano con la produzione delle armi le loro ricchezze, il loro prestigio, il loro potere, non sono nemmeno in grado di pensare a questa conseguenza. Come Abramo, non vedono quanto fanno le loro mani, tutti presi come sono – dopo aver accantonato i loro sentimenti – dal compito di corrispondere alle aspettative che vengono dall’alto. Hanno perduto, fin da piccoli, la capacità di avverite delle emozioni: come potrebbero quindi recuperare questa capacità ora che sono padri? E’ troppo tardi per arrivarci. I loro animi si sono nel frattempo impietriti e conformati, hanno anche disimparato a porre delle domande e ad ascoltare le domande altrui. Tutto il loro impegno mira a creare anche per i figli una situazione in cui non dispongano più delle facoltà di vedere e di ascoltare. E tale sarebbe appunto la situazione di una nuova guerra.

    Con la mobilitazione, tutte le domande della nuova generazione ammutoliscono. Perfino dubitare delle scelte dello Stato è considerato tradimento della patria. Tutti i dibattiti e le considerazioni su alternative possibili cessano di colpo. Quelle che rimangono sono soltanto questioni pratiche: come vincere la guerra, come sopravvivere alla guerra?

    Una volta giunti al momento cruciale, i giovani dimenticheranno che la guerra è stata a lungo preparata da uomini anziani, ambiziosi e affermati. Marceranno quindi, canteranno i loro inni, uccideranno e si faranno uccidere, e s’illuderanno di compiere una missione importantissima. Sarà in effetti un impegno molto apprezzato dallo Stato, compensato con medaglie al valore, però il loro animo – la parte viva, sensibile della loro personalità – rimarrà condannato alla passività estrema. Un animo che assomiglierà a quello di Isacco come è raffigurato in tutte le scene del sacrificio: le mani legate e gli occhi bendati, come se il dover attendere in quello stato, senza far domande, di essere scannato dal proprio padre (il verbo “scannare”è quello che uso nella mia traduzione della Bibbia) fosse la cosa più naturale del mondo.(…..) Nemmeno sul viso di Abramo – nei quadri che sono riuscita a rintracciare – si coglie il dolore, un’esitazione, una perplessità, una domanda, un segno qualsiasi che dica che è consapevole della tragicità della situazione. (….) Perchè si sono attenuti tutti al testo dell’Antico Testamento? Perchè da un qualche recesso della psiche di quei pittori non sono affiorati dei dubbi sull’ovvietà del testo biblico? Perchè tutti quei pittori lo hanno ritenuto valido?

    Non trovo altra risposta se non nella considerazione che qui ci troviamo di fronte alla rappresentazione simbolica di una situazione basilare della nostra esistenza, che molte persone hanno conosciuto e introitato fin dai primi anni di vita, e che la relativa esperienza è stata così straziante da poter sopravvivere solo nelle profondità dell’inconscio. La consapevolezza del sacrificio del figlio è così profondamente radicata in noi che non sembra che la storia di Abramo e di Isacco si sia finora minimamente prospettata in tutta la sua mostruosità. Ha come la legittimità di una legge di natura. Quando però si pretende che questa legittimità debba portare a un pericolo tanto grave come una guerra nucleare, allora non la si può più subire come una legge di natura e occorre invece analizzarla e domandarsi il perchè.

    Se amiamo la nostra vita più dell’ubbidienza e non siamo disposti a morire a causa dell’acritica passività dei nostri padri, non possiamo aspettare più lungo, come Isacco, con le mani legate e gli occhi bendati, che i nostri padri eseguano la volontà dei loro padri.
    Come cambiare una situazione che si protrae da millenni? Cambierebbe se i giovani uccidessero i vecchi per non dover andare in guerra? E in tal modo il coltello passerebbe dalle mani di Abramo a quelle di Isacco: non si conserverebbe in tal modo l’antica crudeltà?

    E se Isacco, invece, anzichè ricorrere al coltello, impiegasse la forza dei suoi muscoli per togliersi i legacci dalle mani e per liberarsi la faccia dalla mano di Abramo? In questo modo, Isacco non giacerebbe più passivamente come un agnello destinato al sacrificio, ma insorgerebbe, oserebbe usare gli occhi e vedere suo padre per quello che è: insicuro, tremante nell’atto di eseguire un ordine che gli risulta incomprensibile. A quel punto anche la bocca e il naso di Isacco sarebbero liberi, potrebbe finalmente parlare e formulare domande. “Ma che razza di individuo sei, che esegui ordini senza provare delle emozioni, e che razza di Dio è quello che lo pretende da te?” (…..)
    Può darsi che Abramo sia ormai troppo vecchio, che sia troppo tardi per lui per cogliere il messaggio di vita che gli viene dal figlio. Ma potrebe forse aprirsi alle domande, perchè sono anche domande sue, rimaste represse per decenni. (….) Se Isacco non si fa accecare di nuovo per conservarsi l’illusione di un padre forte, saggio e buono, e ha invece il coraggio di guardare negli occhi il padre reale, di non farsi ridurre al silenzio, il confronto prosegue. E allora i giovani non dovranno morire in guerra per mantenersi viva l’immagine di una presunta saggezza paterna. Se a questi uomini sarà consentito di vedere che i loro padri costruiscono – imperterriti, ostinati, incoscienti – giganteschi sistemi d’armamenti destinati a distruggere non loro ma, in un domani, i loro figli, allora questi figli non giaceranno più spontaneamente come agnelli sull’altare sacrificale. Tuttavia il loro rifiuto, la loro ribellione, presupporrà la disponibilità a non seguire più il comandamento: “Non devi accorgerti”. Questo passo è la prima condizione per il cambiamento. Noi possiamo sottrarci al nostro destino, a patto di non aspettare la salvezza dall’angelo che compensa Abramo per la sua ubbidienza. Il numero delle persone che si rifiutano di assumere, nella storia di domani, il ruolo di Isacco, quello della vittima, aumenta in continuazione. E forse ci sono anche persone che respingono il ruolo di Abramo, che rifiutano di eseguire ordini che appaiono loro assurdi perchè diretti contro la vita. (….) Con le sue domande, con l’accorgersi di quello che accade, col rifiuto di farsi uccidere, Isacco non salva solo la propria vita, ma preserva anche suo padre dalla sorte di diventare l’incosciente assassino di suo figlio.

    (….) Se c’è qualcuno che può salvarci dalla catastrofe non è il vecchio Abramo che volge gli occhi al cielo e non vede quello che sta facendo, bensì suo figlio che forse non ha ancora completamente perduto – almeno lo dobbiamo sperare – la capacità di sentire e che grazie a questa facoltà superstite può anche figurarsi che cosa significhi prepararsi a una guerra nucleare. Se Isacco è capace di inorridire dinnanzi al terrificante progetto del padre e di sentire indignazione senza respingere questo sentimento, allora questa esperienza gli conferirà quelle consapevolezze che a suo padre sono state negate per tutta la sua vita. Agli Isacco d’oggi non resta altro da fare che alzarsi dall’altare sacrificale e confrontarsi con la psiche dei padri che preparano la guerra.

    (….)”Io, Isacco, mi sono ravveduto dopo aver guardato questo altare e mio padre. E ora non sono più disposto a morire, non sono disposto a marciare e a cantare inni di guerra. Non sono disposto a dimenticare quali sono sempre state le condizioni che hanno reso possibili le guerre. Io, a questo punto, mi sono destato dal mio sonno millenario.”

    Scritto trent’anni fa, scritto per noi, uomini e donne di oggi, di trent’anni dopo.

    Cordialmente
    Emanuela

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