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L’omicidio del dissenziente

La bocciatura del referendum sull’omicidio del consenziente, da parte della Corte Costituzionale, ha rimesso in campo i paladini dei “diritti” umani. Un nutrito gruppo di alti ingegni, sovente definiti come “intellettuali”, e altrettanto spesso gratificati dell’appellativo “di sinistra”. O, se preferite, dell’aggettivo di “laici”, “progressisti”, “liberal”.

Costoro hanno versato fiumi di lacrime e d’inchiostro, dai loro torrentizi editoriali. È stata una sconfitta per la cultura dei “diritti”, capite? La Corte ha privato i singoli della “libertà” di decidere, capite? I cittadini sono stati scippati del potere di “scegliere”, capite? Anche di farsi ammazzare, se del caso. Purché consenzienti, beninteso. Se c’è il consenso, puoi fare di te ciò che vuoi: l’essere umano è nullo, senza consenso; proprio come i pneumatici Pirelli di trent’anni fa, che erano nulli senza controllo. Il “tuo” consenso, secondo questi avanguardisti dell’illuminismo quattro punto zero, è il super green pass del paradiso di “ogni” possibilità: puoi farti uccidere, puoi drogarti, puoi cambiare sesso. Al limite, puoi sopprimere un altro essere umano, con il suo consenso. Anche senza, addirittura, purché non nella culla. Basta solo che sia “prima” della culla. E se ti viene impedito – dai soprassalti parrucconi e codini di una corte di mummie ottocentesche – allora hai diritto alla “obiezione di coscienza”, devi “ribellarti” all’ingiustizia. Perché – che diamine! – il corpo è tuo e lo gestisci tu.

Questa è la chiave della loro filosofia liberale, liberista, libertaria: l’individuo ha la sovranità assoluta sul proprio corpo, e nessun potere costituito può metterci becco. Neanche per salvargli la vita. Persino a costo di sdoganare l’omicidio. Basta solo che Abele sia d’accordo con Caino, ed è fatta. Bene, la cosa più stupefacente di tutta la faccenda è che questi adoratori del “corpo” sono quasi sempre gli stessi – ma proprio gli stessi – armigeri di una battaglia di segno esattamente contrario: quella contro la facoltà, per una persona, un individuo, un cittadino di dire di no a una intrusione sanitaria farmacologica pubblica nel corpo privato. Sono gli stessi ad aver “omaggiato” i renitenti alla leva vaccinale dei peggiori epiteti, oltre al marchio d’infamia di no-vax, s’intende: ignoranti, incolti, infami, egoisti, assassini.

Ora, una una spiegazione la dobbiamo pur dare. Volete sapere perché il corpo è sacro solo fino a un certo punto? Solo fino a “quel” punto chiamato “campagna vaccinale”? Perché, in realtà, voi potete farne ciò che vi aggrada – in nome del diritto, della “scelta”, della libertà – solo fintantoché vi fate del male, o vi togliete dalle spese, senza urtare l’agenda dei padroni del vapore. Se poi l’assecondate, vi pagano pure. Quando, invece, pretendete di fare “realmente” del vostro corpo ciò che volete, a dispetto di ciò che “vogliono” i poteri del mondo (industriali, finanziari, bancari, farmaceutici e mediatici), allora siete carne da cannone. Su cui invocare, magari, i cannoni di Bava Beccaris.

In tal caso, pretendere di fare di sé ciò che si vuole non è più la rivendicazione di un diritto primigenio, ma il  volgare capriccio di chi è privo di senso civico. E, perciò, merita la morte civica. Anche se dissenziente. I famosi intellettuali da cui siamo partiti – le vestali del “corpo libero” – in realtà sono tanto gelosi del proprio “corpo” quanto carenti di una propria “mente”. Lavorano per conto terzi, diciamo. Pertanto, non sono neppure in grado di rispondere alla madre di tutte le domande: qual è l’agenda dei lavori di cui sopra? Sennonché, anche solo per porselo, il quesito, ci vorrebbe una intellighenzia vera. E questi qua, come direbbe Checco Zalone, “non sono del mestiere”.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com

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2 Commenti

  • Rispondi
    Silvia
    21 Febbraio 2022 a 09:09

    Carissimo Francesco
    grazie per l’ottima analisi e i quesiti che io stessa, da donna normale senza competenze in materia giuridica, mi ero posta
    È possibile per noi donne decidere di “uccidere” (si lo dico e lo rivendico, si uccide) un bimbo che non desideriamo ma non possiamo avere libertà di scelta in contesti sanitari più di “moda” quali sieri ecc.
    Incontro molte donne nello svolgimento della mia professione e, a tutte ho posto la riflessione di cui sopra, convinta di poter aprire un dibattito ricco
    Ebbene mi sbagliavo, ho visto occhi sbarrati e bocche aperte ma silenziose
    Nessuna opinione in merito, nessun dubbio, nessuna ci aveva pensato…
    Che dispiacere ricevere di nuovo conferma che molte donne vivano perché il loro corpo vive ma non hanno idea del “come”
    Le poche risposte che ho ricevuto mi hanno sconcertato “io mi limito a fare quello che mi dicono” “beata te che hai tempo di informarti” “sai come sono fatta, arrivo a casa la sera e mi piazzo davanti alla tv” “tu sei fortunata perché puoi permetterti di essere coerente”
    E non continuo…
    Come Essere Umano vivo e degno credo che “la libertà non sia una corrente alternata da concedere quando faccia comodo ma un flusso continuo per tutti, purché sia rispettosa dei principi fondamentali e inviolabili”
    I “tutti” poi sono chiamati a prendere decisioni che siano il frutto di coscienza critica e viva, serietà, maturità, riflessioni e confronti (magari dialogo, ormai tanto dimenticato
    Sono certa che in tutta questa confusione chi, la maggioranza, non ha mai riflettuto sui grandi temi o magari nemmeno su se stesso, sarà lieto di accettare le libertà (sconclusionate e contrastanti) che verranno calate dall’alto con buona pace nostra e dei nostri eterni dubbi
    Grazie ancora
    Silvia

  • Rispondi
    Emanuela
    13 Aprile 2022 a 13:37

    Buongiorno Francesco Carraro.

    Volevo aggiungere una precisazione sul fatto che le donne “decidano di uccidere” un figlio (un bimbo? no, i bimbi vengono perseguitati e, spesso, ammazzati, fisicamente e-o psichicamente, quando sono già in vita fuori dal grembo materno) non ancora nato. Ho appena visto il reportage Gottes missbrauchte Dienerinnen di ARTE (2019), ove con una sensibilità umana e con un tratto giornalistico assolutamente pregevoli si espongono le terribili vicende esistenziali esperite nel corso di decenni da parte delle “Dienerinnen Gottes”, le serve di Dio abusate, stuprate dai loro superiori preti. Quei preti da cui dipendeva ( e dipende) direttamente la loro formazione nel convento o nella congregazione di appartenenza. Donne che si trovavano (e si trovano), pertanto, in una condizione di totale subordinazione dai preti maschi, con l’ aggravante delle loro talvolta assai misere condizioni economiche familiari, il che le rendeva (e le rende) praticamente schiave della situazione di abuso e di perpetua violenza.
    Da questi rapporti sessuali violenti sono derivate (e derivano) spesso delle gravidanze.
    E allora, il prete violentatore paga un “killer” (parole del capo del prete violentatore) per sopprimere la vita che si sta formando nella donna violentata. Ovvero, la donna vien fatta abortire dal prete. Allora, non è la donna che “uccide”, ma è il prete che lo fa. Con la complicità mostruosa e infame oltre ogni limite dei suoi superiori.

    Come si può dunque apprendere da quanto da me sinteticamente esposto (il film dura un’ora e 33 minuti), ci sono casi, molti casi, in cui non sono le donne a voler “decidere di uccidere” un essere vivente nel loro grembo.
    E, come visto, si tratta spesso di casi di inaudita mostruosità causati e perpetrati da uomini maschi. Maschi intoccabili e al di sopra di ogni sospetto.
    Tutto questo suscita nella scrivente uno sconfinato senso di ripugnanza e di ira funesta.

    Cordiali saluti
    Emanuela

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