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Ma quanto son buonisti sti nazisti


Accettiamo scommesse sul fatto che – se continua così – a breve assisteremo a una riscrittura della storia del Novecento. In particolare dell’esperienza nazista in Germania. Magari farà da apripista Wikipedia spiegandoci che, a ben vedere, e secondo inoppugnabili risultanze lessicali evidenziate dai più occhiuti fact checkers, Hitler non era nazista. Era “nazionalsocialista”. Una differenza “letteralmente” innegabile, per chiunque non sia un complottista semantico in malafede. Così come il braccio teso è una classica figura dello yoga. E la svastica, ce lo hanno già spiegato, un antico simbolo runico. Dunque, parte integrante del patrimonio culturale della stessa Unione europea.

Magari, qualcuno rivendicherà con orgoglio i trascorsi di  Walter Hallstein, firmatario del trattato di Roma del 25 marzo 1957, nonché primo Presidente dell’allora Comunità Economica Europea. Il quale era stato, in precedenza, membro del “Bund Nationalsozialistischer Deutscher Juristen” (Associazione dei giuristi nazional-socialisti tedeschi). D’altra parte, già si sprecano gli editoriali dove si paragonano i membri del Battaglione Azov, impegnati nella strenua difesa dello stabilimento di Azovstal, ai trecento delle Termopili.

Forse anche Leonida, “bontà” sua, era un filino nazi perché il pennacchio del suo elmo era “bruno”. Altre penne ispirate del nostro malandato bigoncio hanno scomodato la presa di Fort Alamo e le imprese di Davy Crockett:  Nazy Crockett, per gli amici. Torniamo seri e chiediamoci: la riabilitazione del nazismo è davvero uno scenario impensabile? Non ne saremmo così sicuri. Dopo due anni di virus e due mesi di guerra, dovremmo aver capito come il mainstream abbia ormai perduto ogni senso del ridicolo e oltrepassato la soglia di qualsiasi vergogna.

L’imperativo categorico dei colossi oligopolisti dell’informazione sedicente ufficiale è: “la realtà non esiste”. Uno slogan tratto di peso dalla programmazione neurolinguistica e da molti modelli affini della psicologica cognitivo-comportamentale e anche della filosofia del tardo novecento. Se la realtà non esiste, neppure esiste la verità. E, quindi, tutto è possibile; cioè, alternativamente, vero o falso. A seconda della bisogna e in base alle convenienze. Non contano i fatti ma solo (come insegnava Nietzsche) le interpretazioni. E le interpretazioni ossessivamente ripetute in coro diventano fatti. Et voilà: i nazisti, all’improvviso, si scoprono buoni. Così come i “buonisti”, o se preferite i perbenisti, si scoprono un po’ nazisti.

Insomma, quelli che stanno sempre dalla parte “giusta”, “vera”, “liberale” e “democratica” della Storia possono, se del caso, donare un po’ del loro “bene” e un po’ della loro “bontà” anche al Male assoluto. Sennonché, pure le più ardite menzogne si scontrano con un limite invalicabile: quello della dissonanza cognitiva. Se alteri la verità presente oltre un certo grado, poi devi necessariamente adulterare anche quella passata. Quantomeno se non vuoi precipitare nella schizofrenia. Del resto, molti degli odierni intellettuali di punta sono reduci dalla sbornia degli anni Settanta quando i terroristi rossi erano solo “compagni che sbagliano”. Avanti di questo passo, e le SS degli anni Trenta si trasformeranno in “camerati che sbagliavano”.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com

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