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OFF LINE

OFF LINEDa qualche parte, si comincia a parlare di diritto alla disconnessione. Siamo talmente imbrigliati nella rete della intercommunity globale acca ventiquattro che prima o poi doveva succedere. Qualcuno finalmente si è accorto di un paradosso. Gli strumenti superfichi e molto trendy (smartphone, tablet e ammennicoli vari) che ci consentono di fruire in tempo reale della bulimica enormità di contenuti del web si stanno trasformando nella corda deputata a impiccarci. Attenzione: la possibilità di essere costantemente on line, di poter digitare in qualsiasi istante qualsiasi pensiero a qualsiasi persona o di poter esigere la sua attenzione con la semplice pressione di un pollice, l’opportunità di accedere senza mediazioni a qualsiasi tipo di informazione veicolato da qualsiasi canale mediatico in qualsiasi ora del giorno e della notte, ci era stato venduto – e ci è ancora venduto – come l’apoteosi della libertà. E ciò sulla base di una concezione basica di questo sacro valore secondo la quale la libertà coincide con il poter fare più cose: se ho tre scelte sono più libero di chi ne ha due, se ho quattro scelte di chi ne ha tre, se ho cinque scelte di chi ne ha quattro e così via. Ma se hai diciottomilioniquattrocentocinquantamila scelte, quanto libero sei? Zero. Ecco il paradosso: l’aumento esponenziale delle opportunità raggiunge una soglia critica, scavallata la quale la parabola della sedicente libertà si tramuta nel suo speculare opposto: incertezza, confusione, caos. Quindi, piena disponibilità ad essere prede del primo stronzissimo esperto di tecniche di manipolazione. Ma l’interdipendenza eternamente garantita ha un’altra controindicazione: la reperibilità costante. Sennonché, il poter essere contattati ovunque si è trasformato nel dover essere reperibili comunque. E, a ruota, ecco la nuova eresia non condonabile della contemporaneità: guai ad avere il cellulare staccato o il palmare off line. Non farlo e, se lo fai, sentiti in colpa! Così viviamo costantemente perseguitati da un nugolo di tafani, ladri di tempo e forieri di distrazioni inutili (il conoscente rompicoglioni) se non ignobili (l’ennesima proposta commerciale). Quindi, abbiamo una sola via di fuga. Non reclamiamo (chissenefrega dei reclami!) un diritto alla disconnessione. Esercitiamolo! In modo seriale, volontario, continuativo e spietato. Disconnettiamoci ogni qual volta possibile. Rendiamoci irraggiungibili. Godiamoci il silenzio e la quiete del do not disturb, disintossichiamoci dal profluvio di pattumiera mediatica. Viviamo il momento liberi dalla schiavitù socialmente accettata e politicamente corretta di essere sempre educatamente disponibili. Soprattutto, facciamolo ora, subito. Prima o poi regolamenteranno anche questo diritto concedendoci la facoltà di non essere connessi solo in nicchie rigorosamente stabilite. Ormai la perdita anche di tale residua libertà non è più una questione giuridica, e neppure politica. E’ una questione di tempo.

 

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