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SE TELEFONANDO

SE TELEFONANDOHanno fatto dimettere la povera ministra perché, dicono, da una frase intercettata, pare, avesse cercato di tirar su il morale al fidanzato garantendogli un emendamento notturno favorevole alla Total e, quindi, indirettamente alle aziende in subappalto del moroso. Ci sono due aspetti di involontaria comicità delle vicenda così enormi, ma così enormi, che forse non ne parlerà nessuno. Uno ha a che fare con il concetto di conflitto di interessi, l’altro con quello di conflitto di coscienza. Col primo ce la sbrighiamo in fretta. Come si fa a esigere le dimissioni di una ministra che ha favorito la Total, cioè i petrolieri? Embè? Dovrebbero darle una medaglia al valore per come si è industriata, anche nottetempo, a tradurre in azione di governo le linee guida del partito in cui milita. Il PD, minoranze innocue a parte, sta boicottando da mesi un referendum la cui riuscita penalizzerebbe i petrolieri e nessuno ha battuto ciglio. Il PD potrebbe chiamarsi anche PA (Partito delle Assicurazioni) o PB (Partito delle Banche) o PP (Partito dei Petrolieri) per quanto si è dannato, nell’ultimo ventennio, a favorire in ogni modo possibile l’establishment del grande capitale privato. La Guidi, se telefonando ha fatto un favore a un amico del giaguaro, ha solo mantenuto fede al patto con gli elettori. Il PD è l’epifania politica dello zerbino pro-potente, l’inverarsi sul piano della lotta di classe (al contrario) del celebre successo di Mina e Costanzo: se telefonando potessi farti un piacere, caro petroliere, te lo farei. Dunque, ritiro immediato delle dimissioni e rientro dello scandalo. Ma veniamo al conflitto di coscienza. La Guidi ha dichiarato di essere certa della sua buonafede. Testimoniando così di una scissione ormai irreversibile tra la logica spicciola e la lingua italiana. Come si faccia a essere certi della propria buona fede può saperlo solo un ministro. Uno studioso di dialettica lo ignora. La buona fede è uno stato interiore che ti pertiene. In buona fede lo sei o non lo sei. Non c’è bisogno di mettere in campo la categoria della certezza. Puoi essere certo o incerto della buona fede di un terzo (ad esempio del tuo compagno), ma non della tua. Invece, la ministra ha detto a Renzi proprio così: che è certa della propria buona fede. Come se la buona fede che le compete non le appartenesse, come se lei stessa non si appartenesse. Si guarda da fuori, aliena a sé medesima e, dopo averci pensato su, conclude che è certa della propria buona fede. Renzi, dal canto suo, è certo di aver fatto una figura di merda e quindi accetta di buon grado e con la lacrima quelle stesse dimissioni che lui stesso era certo che la ministra avrebbe dato. Questi qua vivono in un mondo di certezze ed è questa la fortuna dell’Italia. E dei petrolieri.

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