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AMMAZZA CHE PIZZA

PIZZAChi lo dice che l’Italia, a livello internazionale, non conta più una fava? La cronaca sta lì a smentirlo e, soprattutto, lo smentisce la consapevolezza civica e la tensione culturale delle nostre principali istituzioni, le agenzie, ignorate dai più, a capo delle quali il governo ha messo il fior fiore della nostra intellighenzia sommersa. Ad esempio, vogliamo parlare della Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco? Per fortuna che c’è, proprio come il Silvio della famosa canzone. Intanto che sbricioliamo enti inutili, tipo i consessi democratici dove potevamo eleggere qualcuno che ci permettesse di auto-governarci (ieri i comuni molto piccoli, oggi le provincie di ogni dimensione, domani magari le regioni) manteniamo in vita strutture di governance in-di-spen-sa-bi-li. Tipo la citata Commissione. Che mica sta lì a scucchiaiar le vongole, cari miei. Lavora. E lavora così tanto da aver proposto al suo referente capo (l’Unesco) di candidare al rango di ‘Patrimonio Mondiale dell’Umanità’ una eccellenza italiana nel campo della cultura. Vivaddio, finalmente un ente utile che non si occupa di crescita, di consumi, di ripresa, ma di arte, di bellezza, di prodotti del genio umano, per di più italico. Quando l’ho saputo mi sono precipitato a verificare quale degli innumeri capolavori, di cui il Belpaese mena vanto, avessero conquistato l’alloro. Dopotutto, è un bel segno di incivilimento collettivo, una fiammella di speranza in fondo al tunnel. Vuol dire che non ci siamo ridotti alle propaggini affamate di un tubo digerente come parrebbe, stando alle esortazioni dei leader mondiali. Mentre le dita correvano celeri alla tastiera, alcuni rapidi flash mi suggerivano centinaia, che dico, migliaia di ipotesi: espressioni ineguagliabili della creatività letteraria, pittorica, architettonica, musicale del Rinascimento. Vittima dell’euforico malessere clinicamente noto come sindrome di Stendhal, mi chiedevo di quale sovrumana dote di sintesi fosse dotata la Commissione Nazionale Italiana dell’Unesco per coronare la titanica impresa. Alla fine, ecco il sito, ecco il link, ecco la foto dell’opera, tra centomila altre degna di ottenere il bollino blu dell’Onu. Se vi è tornata in mente la famosa banana, una ragione c’è. Sullo schermo, campeggiava l’immagine di una Quattro Stagioni con rucola, grana e origano in cottura. Proprio sotto, la conferma: “Pizza candidata italiana come Patrimonio mondiale dell’umanità Unesco’. La pizza, ha vinto la pizza! Un amico mi ha detto di non fare il moralista, italiani siamo, in fin dei conti: Francia o Spagna purché se magna. Mi son beccato pure del pirla, che non capisco una mazza, che qua si tratta di stimolare i consumi. Alla fine, gli ho dato ragione, mentre mi veniva fame, e lui, più colto e sul pezzo di me, mi ha detto che la pizza si inserisce in una serie storica mica da ridere e che c’è la coda di altre eccellenze italiche già finite, o degne di finire, nell’elenco dei capolavori. Prima della pizza ci fu lo zibibbo di Pantelleria e pare che il prossimo sarà il Berlingozzo fiorentino.

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