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MAX E MARX

MAXSecondo Max Weber la dimensione spirituale e morale di un’idea religiosa è in grado di produrre reali cambiamenti sociali fino ad assecondare l’affermazione di un sistema economico su scala mondiale. L’etica protestante ha innervato di sé lo spirito del rapace capitalismo in ascesa. Per Max, la fiducia in una predilezione divina dimostrata dai proficui ritorni delle proprie imprese commerciali avrebbe stimolato l’aggressiva intraprendenza degli animal spirits. Secondo Karl Marx, invece, le cose stanno esattamente all’opposto. Sono le forze produttive e i rapporti di produzione e gli interessi e i conflitti di classe da essi innescati a generare le credenze, i valori, l’insieme di polluzioni immateriali che il filosofo di Treviri designava come ideologie. Ebbene, l’epico e tragico scontro in atto tra il cosiddetto Occidente democratico e il cosiddetto Stato islamico sembra riproporre con virulenza le due modalità di interpretazione delle dinamiche storiche e sociali di Weber, da un lato, e di Marx, dall’altro. Nel caso dell’Isis sembra infatti predominante, su ogni altra, la dimensione etico-religiosa. L’intima convinzione animante i martiri di Allah di combattere in nome di Dio fa premio su ogni altra considerazione di tipo economico, politico, sociale. È l’etica mussulmana radicale a scatenare lo spirito del terrorismo di Al Qaeda, prima, e del califfato, adesso, per dirla in termini weberiani. E sono considerazioni di natura trascendentale e irrazionale, pertinenti alla categoria della fede (cieca e fanatica) a determinare le mosse di Al Baghdadi e dei suoi fratelli e di qualunque sedicente martire pronto a immolare se stesso seminando di cadaveri i selciati delle piazze europee. Quanto all’Occidente ‘libero’, Unione europea in testa, è forse il più palese precipitato istituzionale, nonché l’inveramento storico più riuscito, delle teorie marxiane. Infatti, la libertà e la democrazia di cui gli stati occidentali menano vanto sono, con tutta evidenza, sovrastrutture di una macchina economico-finanziaria in cui i guadagni delle borse e dei mercati costituiscono il motore primo e unico (il primum movens) di ogni decisione assunta dalle istituzioni, sia quelle residue nazionali, sia quelle preminenti, sovranazionali. Qualsiasi obiettivo, progetto, programma è studiato e perseguito in funzione del capitale, della crescita, dell’aumento del pil, del contenimento del debito. Non c’è una sola dichiarazione dei rappresentanti dei popoli europei che non proceda in questa direzione o non promani da queste esigenze. Dopodiché, nei discorsi da cerimoniale o nei pistolotti recitati sotto le bandiere listate a lutto per l’ennesima strage è tutto un fiorire di melensi e melodrammatici richiami agli ideali democratici e libertari che legittimerebbero la superiorità occidentale sulla barbarie mediorientale. È come se la sopraveste ideologica e sovrastrutturale del mito (diritti, democrazia e bla bla bla) si fosse ridotta a un francobollo rispetto al corpaccione sostanziale sottostante (e desolante) del puro dato economico. Il nostro dramma sta tutto in una inevitabile presa di coscienza collettiva: se sopra i furori del radicalismo c’è la fede malata in una divinità vendicativa e rabbiosa, sotto la retorica occidentale c’è solo un carrello della spesa.

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