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IL MODERATORE

moderatiBerlusconi ha chiamato a raccolta i moderati. “Crescete e moderatevi!” ha detto, più o meno, “e vi farò vincere le elezioni”. Questa l’ho già sentita. Siccome bisogna pur motivare il popolo – ‘coltivare’ un popolo – ha  dato una lucidatina  alla lampada magica della sua area politica di riferimento: la moderazione. Ma chi sono i moderati? Da dove vengono? Cosa vogliono? Perché mai dal Novantaquattro in qua – mentre l’Europa faceva moderatamente a pezzi l’Italia intera, con sfoggio di giusta misura, di buona educazione e di moderata flessibilità – in Italia, anziché incoraggiare gli ‘estremisti’, il Cavaliere vezzeggiava i ‘moderati’? E perché Silvio ci ricasca ancora? Ventitré anni dopo la famosa discesa in campo, sta ancora a parlare di moderati. Proviamo a farne un sommario profilo, allora. Anzi, proviamo a tracciare l’identikit del ‘moderato tipo’ che ha in mente uno come Berlusconi, o un berlusconiano qualsiasi, quando parla di ‘moderati’. Ecco, vedete, non ci viene in mente niente, proprio niente. Ma non è colpa nostra. È colpa dei moderati. Che non esistono. Nessuno li ha mai visti in giro, tantomeno in cabina elettorale. E allora da chi prende e da chi ha preso i voti Berlusconi, visto che si attacca ai moderati come un pensionato al salvavita Beghelli? Li prende da elettori convintisi di essere ‘moderati’ a furia di sentirselo ripetere. È un epiteto che piace alla gente che piace (a Berlusconi). Per il quale dare del ‘moderato’ a qualcuno è un ottocentesco segno di rispetto. Dire ‘moderati’ gli suona fico perché richiama il giudizioso decoro piccolo borghese. Nella sua mente, quella parola è la sintesi semantica di un passato intramontabile, il testimone lessicale di una staffetta tra generazioni di maggioranze moderate, perlopiù silenziose e visceralmente anticomuniste. Peccato che ‘moderato’ sia il marchio dell’inconsistenza. Anche se ‘moderato’ vuol dire fiducia, come il formaggino Galbani. Il moderato, dicono, non è di sinistra, sta dall’altra parte. Benché nessuno rammenti che significhi essere di sinistra o stare dall’altra parte. Dirsi ‘moderato’ va comunque bene. Perché al dirigente di partito destro-centrico, cioè di centro-moderato, non interessa tanto  la sostanza, quanto la forma. La forma evoca la sostanza, anche quando la sostanza non c’è. Dire ‘moderati’ è come suonare il campanello al cane di Pavlov senza piazzargli nella ciotola il boccone. Il cane saliva comunque. Ergo, dire ‘moderati’ è come schiacciare un pulsante. È una carta moschicida. Attira gli elettori renitenti alla leva (della manipolazione) e ridà loro una parvenza di vitalità. Li rianima di doveroso senso civico, li arma contro i rivoluzionari. O almeno contro i progressisti. Perché, se da un canto ci sono i moderati benpensanti che fanno le cose per bene, allora dall’altro – se tanto mi dà tanto – si annidano i facinorosi esaltati. Invece, e qui sta il bello, gli altri sono più moderati dei ‘moderati’. Cioè, se i moderati a cui pensa Berlusconi sono europeisti contenuti, l’opposta fazione è fatta di feticisti europei. In questo senso, in effetti, il programma del centrodestra è più moderato di quello avversario. Anche se identico. Fatto di nulla l’uno. Fatto di nulla l’altro. Ma vuoi mettere un nulla moderato rispetto a un nulla progressista?

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