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La disobbedienza è la prima virtù

Piccolo suggerimento a chi sarà destinato a implementare, come usa dire oggi, gli istituendi  corsi di educazione civica per le scuole dell’obbligo nel nostro paese: rinfescatevi, e rinfrescate alle freche teste dei nostri fanciulli, i concetti di “legalità” e di “giustizia”. Magari, fatelo ripartendo dall’ossessione socratica per il concetto di “concetto”. Il maestro di Aristotele, infatti, era considerato un fastidioso tafano nell’agorà ateniese perché non si accontentava mai delle definizioni fumose e generalizzanti. Non gli interessava capire in cosa si traduce l’idea di bene; voleva sapere cos’è esattamente il “bene”, così come la “virtù” o la “ragione”. E così via, di concetto in concetto, onde pervenire all’essenza non più dubitabile della sostanza ultima delle cose, soprattutto di quelle immateriali. Quali, per esempio, la “giustizia” e la “legalità”.

Oggi ve n’è più che mai bisogno perché è in atto una sofisticata operazione manipolativa del consenso volta a farci confondere la prima categoria con la seconda. O, addirittura, a fondere la prima nella seconda. Cosicchè, alla fine di questa astuta strategia, sul piatto della nostra piatta coscienza resti solo la legalità con tanti saluti alla giustizia. Oggi, è tutto un proliferare di “legalità” a ogni livello, soprattutto a quelli più alti. Si parla di educazione alla legalità, di cultura della legalità, di rispetto della legalità. E il motivo è presto detto: se tutto ciò che conta è la legalità, a prescindere dall’intrinseca giustizia sostanziale sottostante, allora al cittadino non resta che rassegnarsi. Bisogna comportarsi non conformemente, e soprattutto, a ciò che è giusto, ma pedissequamente, e innanzitutto, a ciò che è legale. E il “legale” corrisponde quasi sempre a regole cristallizzate in norme pletoriche, contorte, partorite in opachi ed elitari consessi a-democratici dove qualcuno, immancabilmente, sa cosa è “giusto per noi” così da farlo diventare “legale per tutti”. Il fatto poi che non sia “giusto in sé” diventa un dettaglio irrilevante una volta licenziata una “norma”, secondo i crismi prestabiliti, in quanto tale “legale” e quindi giusta per definizione e ottima per “normalizzare” il dissenso. Il che ci ricorda quel pacchiano vanto dei sostenitori a oltranza del Ventennio fascista: ai tempi della Buonanima i treni arrivavano sempre in orario. E ci rammenta anche quella folgorante risposta: cosa ce ne importa, se erano i treni che portavano ad Auschwitz?

Ecco, dovremmo riacquistare la capacità, e la sensibilità, in grado di aiutare i nostri ragazzi a cogliere la differenza tra ciò che è effettivamente “legale” (ad esempio, i trattati europei e il fiscal compact: le famose “regole” cui tutti i “presidenti” d’Europa ci richiamano) e ciò che è profondamente “ingiusto” (ad esempio, i trattati europei e il fiscal compact: le famose “regole” cui tutti i “presidenti” d’Europa ci richiamano). Sorpresa: la “legalità” può far rima con “ingiustizia”. E una stessa norma può essere sia legale che ingiusta. Ma per arrivare a comprenderlo, e a insegnarlo, ci vorrebbe altro: in quei corsi da “implementare”, andrebbero inserite anche nozioni di filosofia, di etica, di storia del pensiero volte a far discernere, ai nostri giovani, la “ratio” intimamente “sbagliata” sottesa alle famose regole cui essi dovranno sottostare. E, invece, gli insegneranno esattamente il contrario: che è giusto piegare la schiena nel nome della legalità.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com

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