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La profezia di Draghi

Lasciate perdere i cine-panettoni. Per trascorrere una mezzoretta in allegria, sotto le feste, dovete leggervi il discorso di Mario Draghi sulle sorti dell’euro. Il nostro parte col botto: “La sovranità monetaria non è la strada giusta”. Le parole di quest’uomo sono un brodo caldo per l’anima, pura poesia. Ispirano. E allora vado di rima, così faccio prima. Per esempio: anche la sovranità legislativa giusta non lo è, e neppure la sovranità in sé e per sé. Oppure: trovatemi il burlone che ce l’ha messa in Costituzione. O ancora; con una piccola riforma strutturale potremmo correggere questo peccato originale: l’Italia è una repubblica fondata sulla UE e la sovranità appartiene alla BCE. Adesso torniamo seri per un attimo, giusto il tempo di un bel respiro prima di riprendere la lettura.

Ecco un’altra chicca: prima dell’euro “le decisioni rilevanti di politica monetaria erano prese in Germania” mentre adesso sono partecipate da tutti. “Cado dalle nubi!”, direbbe Checco Zalone. Qualunque cittadino mediamente informato – e i mediamente informati, purtroppo per l’establishment, crescono a vista d’occhio – sa che l’Italia è sempre stata estremamente competitiva nei confronti della Germania in un regime di cambio non fisso. Per la precisione, per tutti gli anni settanta e ottanta e fino allo SME credibile  e poi dall’uscita dallo SME credibile, nel 1992, fino alla fine degli anni novanta con l’aggancio all’ECU e il successivo ingresso nell’euro. Detto brutalmente: a livello di produzione industriale e di bilancia delle partite correnti, ai tedeschi gli facevamo un mazzo tanto. E le decisioni la Germania non le prendeva per conto nostro, ma per conto suo. Quelle nostre, invece, le subiva. Quanto al fatto che oggi le decisioni sono “partecipate” da tutti, ce ne siamo accorti. Siamo tutti “partecipatamente” disciplinati come una grande famiglia. Ormai abbiamo interiorizzato la regola: i mercati vincono, i popoli “partecipano”, all’insegna dell’olimpico motto: l’importante non è vincere ma “partecipare”. Ma ora preparatevi che arriva il colpo del KO: “Alcuni paesi persero sia i benefici della flessibilità dei cambi che la sovranità della loro politica monetaria e i costi sociali furono altissimi”, in un “processo che si concluse con le crisi valutarie del ’92-’93“. Appunto. Fu proprio uscendo da quella gabbia, e dopo il fallito tentativo sadomasochistico di restarci (perpetrato da Amato con una svalutazione monstre) che l’economia italiana ripartì alla grande e mise il turbo per l’ultimo dei periodi di autentica crescita conosciuti dal nostro paese.

Ora, occhio alle coronarie. A un certo punto, Draghi afferma, testualmente:  “È anche vero che in vari Paesi i benefici che ci si attendevano dall’Unione monetaria non si sono ancora realizzati”. Si fosse alzato uno per dirgli: no, presidente, mi perdoni, quei benefici – in quindici anni! – non si sono mai realizzati. Abbiamo avuto il contrario: deflazione salariale, disoccupazione, desertificazione dei distretti industriali, svendita delle nostre eccellenze. Fine delle comiche. Ora, se volete anche il dramma, leggetevi le untuose sviolinate, al Draghi, dei maestri di pensiero di casa nostra. In effetti, c’è una sola cosa peggiore dell’umiliazione inflitta a una colonia e ai suoi abitanti: la codardia imbelle di chi  – per prostituzione intellettuale – ringrazia. Ma forse ci sta. Dopotutto, li pagano per farci soffrire.

Francesco Carraro

www.fracescocarraro.com

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