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LA SFIGA CI VEDE BENISSIMO

SFIGAUna volta si diceva che la fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo. Oggi, il proverbio andrebbe aggiornato alla luce di quello scandalo planetario rispondente al nome di Panama Papers. Se c’è un aspetto degno di menzione nella vicenda, non è tanto il fatto che volti noti della politica e dello spettacolo di ogni latitudine abbiano sfruttato, negli anni, i canali preferenziali di certe realtà opache del paese centroamericano per occultare e reinvestire denari non dichiarati. Il vero mistero buffo di tutta la faccenda riguarda i nomi dei politici implicati a cui i media hanno dato maggiore risalto. Al netto di nani e ballerine, di vip dal sorriso di platino e di sportivi dai muscoli d’acciaio, sul terreno sono rimaste tre facce attonite. Quella del premier islandese Sigmundur Gunnlaugsson, quella del primo ministro inglese Robert Cameron e quella del presidente russo Vladimir Putin. Sputtanamento globale per i leader in questione, uno dei quali, travolto dallo scandalo, si è già dimesso. Riflettiamo. C’è qualcosa che accomuna le banchise artiche alle steppe siberiane alle bianche scogliere di Dover? Sì che c’è. I loro capi sono tutti, a torto o a ragione, dei discoli ribelli, in misura più o meno consapevole, più o meno convinta, più o meno prona allo status quo fatto di globalismo spinto, Washington consensus, area euro. Nell’ordine: l’Islanda, nel 2015, per bocca del suo ministro degli esteri Gunnar Bragi Sveinsson ha ritirato la candidatura per entrare nella Ue. Per inciso, il suo premier attuale salì alla ribalta, nel 2009, come leader del gruppo “InDefence” che si batteva per non beneficiare, coi miliardi di dollari depositati nelle banche di Reykjavik, i grandi creditori internazionali. L’Inghilterra, invece, è uno stato attenzionato dai secondini della Commissione Europea e da tutti i feticisti dell’euro perché vi si terrà un referendum da cui rischia di saltar fuori il babau di Junker e sodali: il famoso Brexit che spaventa i mandarini comunitari quanto li atterrì, a suo tempo, la Grexit. Veniamo a Putin. È uno dei pochi attori del risiko internazionale a essere disallineato rispetto alla vision dei campioni occidentali specializzati in import & export di democrazia & affini. Inoltre, il tipo si è macchiato di una colpa intollerabile agli occhi di chi governa il mondo: ha inflitto una cocente sconfitta, in Siria, a quell’Isis cui le chiacchiere di Obama, Merkel e Hollande avevano fatto cotanto solletico. Egli, mettendo all’angolo i pretoriani del Barbanera della Sharia, rischia di togliere ai vessilliferi della libertà occidentale ciò di cui essi hanno bisogno come del pane: un nemico credibile, quindi sporco, brutto e cattivo per giustificare più Europa, più sicurezza e meno libertà per tutti. Riassumendo, Robert Cameron è fastidioso, Sigmundur Gunnlaugsson è fastidiosissimo, e a Vladimir Putin gli puzzano pure le ascelle. E guarda caso, tutti e tre son cascati mani e piedi nello scandalo Panama Papers. Vogliamo dire che non c’entrano, che sono innocenti? Non è questo il punto. Fossero anche colpevoli, resta una combinazione statisticamente divina che, tra i leader politici dell’universo mondo con scheletri nell’armadio (cioè tutti), quando si apre l’armadio escano proprio loro tre. Come diceva quel tale? Gli scandali veri colpiscono alla cieca, ma quelli pilotati ci vedono benissimo.

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