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SPRECOPOLIS

METROPOLISC’è un nuovo sito internet, entrato in funzione da qualche tempo, che di nome fa nonsprecareenergia.it. È un sito con una missione netta e selettiva, chiamato a dire pane al pane e vino al vino e a spiegare agli italiani come e perché non devono neanche sognarsi di andare a votare al referendum anti trivelle. È un sito concepito con uno stile comunicativo così moderno e una leggerezza di pensiero così marcata da far pensare a una persona sola, da far sospettare che dietro ci sia un uomo solo al comando. E infatti c’è. Il sito è stato registrato dalla società DotMedia ovverossia la ditta di comunicazione preferita dal premier Matteo Renzi, quella che gli curò le campagne elettorali degli esordi e fu poi destinataria di importanti incarichi via via che l’ascesa irresistibile della stella fiorentina lanciava la star de noantri nell’empireo dei grandi. Il sito afferma che non andare a votare al referendum è un dovere civico per due ragioni: non sprecare soldi pubblici e non sprecare posti di lavoro. Ovviamente, i due motivi sono floppi come panna montata e si prestano a caterve di obiezioni sensate (che, quindi, difficilmente troveranno un link nel sito medesimo). Due su tutte: lo spreco vero è stato non accorpare questo referendum alle elezioni comunali per timore di fargli raggiungere il quorum; oppure, lo spreco di posti di lavoro si ha investendo in tecnologie obsolete che danneggiano i territori e l’indotto del turismo e quindi sprecano molti più posti di lavoro di quanti ambiscano a conservarne o promuoverne. Ma spendere questi argomenti non è efficace quanto smetterla di porsi sullo stesso livello di coloro, Renzi in testa, che quegli argomenti utilizzano. Infatti, il problema del sito in questione non è la debolezza intrinseca delle sue ragioni, quanto piuttosto la piattaforma teorica che lo anima. È la povertà di pensiero sotteso a inquietare e a dover essere combattuta. Perché su di essa si regge l’intero apparato di supercazzole del governo Renzi e ogni provvedimento normativo mai concepito e licenziato da ciascuno dei suoi ministri e sottosegretari. La stella polare del renzismo, unica e sola, è la stimolazione della crescita, l’agevolazione dei consumi, l’implementazione del capitale. Non esiste altro dogma all’infuori di ciò. Ergo, non esiste altro argomento al di sopra di ciò: se un dato regime di cose produce consumi e lavoro, per ciò stesso si autogiustifica. Poco importa che quello stesso regime devasti l’ambiente, soffochi la natura, inquini le falde acquifere, metta a repentaglio la vita dei cittadini. Se è un modello che dà lavoro e quindi produce e diffonde ricchezza, allora va bene. La mafia ci metterebbe la firma. In questo senso, è singolare la metamorfosi del movimento politico (l’ex Pci) di cui Renzi è a capo. Da partito dei lavoratori a partito del lavoro. Dalla tutela dell’individuo rispetto alla prevalenza del sistema alla tutela del sistema a prescindere dal benessere dell’individuo. Non conta più in cosa si traduce la crescita, purché la crescita vi sia. A prezzo, se necessario, della destrutturazione dei diritti della persona e del sacrificio della sua salute. Perché diritti e salute, nell’ecosistema della galassia renziana (che è un ologramma in do minore, un distillato d’annata della filosofia di fondo dell’Evo competitivo), sono orpelli di un mondo che fu, zeppe nella caldaia della locomotiva. In una parola, uno spreco. Dunque, se non vi riconoscete in tutto questo, andate a votare. Non sprecate l’occasione.

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