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DALLA DEA RAGIONE ALLA DEA EMOZIONE

emozioneC’è un curioso, ma significativo, fenomeno in corso le cui caratteristiche possono essere colte guardando i talent show; o anche le innumerevoli gare ai fornelli che oggi funestano il piccolo schermo. Ci riferiamo alla sopravvalutazione del fattore emotivo. In qualsiasi circostanza, dopo ogni prestazione – si tratti di un acuto alla Pavarotti o della guarnizione dei panzerotti – il giurato di turno (sia esso un numero uno della piastra da forno o di quella da ballo) spiffera al concorrente la dritta del secolo:  ‘the secret’. E ‘the secret’ suona, più o meno, così: devi metterci più emozione; oppure: devi lasciarti andare al sentimento; o, ancora: fallo con il cuore, lasciagli libero sfogo, non trattenere le lacrime. E via di condimento emozionale. Ma non è solo questione di talent. I programmi sono la cartina di tornasole di un trend complessivo che restituisce la cifra stessa, la nota preminente del modello educativo veicolato dai media di più ampia diffusione. E siccome la tv è il medium educativo per eccellenza, se non l’unico, dobbiamo interrogarci su quale sia l’intenzione del ‘Regista’ che ne predispone i contenuti. Perché una regia c’è: in quasi tutte le trasmissioni popolari più seguite, l’organo cardiaco (inteso come simbolo della capacità di essere empatici, di emozionarsi, di lasciarsi andare ai baci, agli abbracci, alle coccole e soprattutto alle frigne) la fa da padrone. Il cuore pare aver preso decisamente il sopravvento sul cervello e sulla sua capacità di ragionare, di capire, di decidere, di non farsi condizionare. A ben vedere, la ragione – intesa come somma e distintiva facoltà umana, refrattaria alle contaminazioni del sentimento, ma anche come Virtù interiore del soggetto maturo e responsabile dei propri destini – è sempre stata il valore supremo delle epoche più feconde e rivoluzionarie della storia. Qualche esempio a caso: nella Grecia classica, da Socrate in su e in giù, la filosofia occidentale nasce come rivendicazione del poter dell’intelletto di plasmare l’esistenza e di gestire ‘democraticamente’ la cosa pubblica. A cavallo tra Repubblica e Impero, in Roma pullulavano i filosofi stoici ed epicurei che dell’autocontrollo e dell’apatia e atarassia, cioè della capacità di saper  dominare le emozioni facevano  addirittura una ‘ragione’  di vita: Cicerone, Seneca, Orazio, Marco Aurelio ci hanno insegnato anche questo. Per non parlare del rinascimento italiano, in cui l’essere umano diventa copula del mondo proprio perché dotato di Ragione, la stessa Dea esaltata dagli illuministi nel Settecento. Forse c’è un nesso tra la ricchezza di genio e di capolavori e di rinnovamento sociale di ciascuno dei periodi citati e il culto destinato dall’uomo di allora alle proprie facoltà razionali prima che non a quelle emotive. La testa comandi, potremmo dire,  a voler riassumere. Non è un caso che – in un’era di evidente decadenza come quella attuale – gli spettatori passivi dei generatori di pattume mediatico vengano incoraggiati a sbroccare,  a piangere, a ridere e a dar di matto. Una sorta di silenziatore indotto delle qualità individuali superiori. Ci sarebbe da chiedersi chi ci guadagna dalla proliferazione di questa nuova specie che potremmo designare come Homo Ridens. Di certo, l’ultimo a porsi il problema (e a risolverlo) sarà proprio costui.

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