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A tutti i giuristi in ascolto

A tutti i giuristi in ascolto (Presidenti del Consiglio compresi): se ci siamo battiamo un colpo. Negli ultimi anni non c’è stato un tema più importante – per le sorti della democrazia, dei diritti politici, civili e sociali, per l’economia e per la finanza – dell’Unione europea e dell’euro. Non foss’altro perché l’Unione europea e l’euro hanno impattato in misura debordante, più di qualsiasi altro evento dell’ultimo ventennio, sulle sorti della democrazia, dei diritti politici, civili e sociali, dell’economia e della finanza.

Eppure, per qualche oscura ragione, questo tema cruciale è stato appaltato (quasi) in esclusiva alla sola categoria degli economisti. Gli economisti hanno letteralmente imperversato prima, durante e dopo l’inizio dell’eurozona coincidente con il triennio iniziato il primo gennaio 1999 e finito il 1 gennaio 2002. Prima per spiegarci (quasi all’unisono) perché nella moneta unica dovevamo entrarci, poi per convincerci (la gran parte di essi) che dovevamo restarci nonostante i disastrosi effetti; o per rimproverarci (una risicata minoranza) di averlo fatto, visti quegli stessi disastrosi effetti.

E con questo non intendo affermare che gli economisti non siano importanti. Anzi, ci hanno aiutato a capire un sacco di “segrete cose” altrimenti destinare a restare ignote alle masse. E ci hanno anche insegnato a guardarci da chi economista non è, ma si impanca a “cioccolataio” della materia economica (e, già che c’è, persino di quella giuridica). Dico, però, che abbiamo dato loro troppa importanza. E, al contempo, abbiamo sottovalutato l’importanza del diritto come genesi dei problemi causati dalla UE e dall’euro, ma anche come farmaco in grado di guarirci dalla Ue e dall’euro.

Dopotutto, e per lo più, troppi economisti (piccoli o grandi che fossero) si sono spesso dimostrati simili alla “nottola di Minerva” di cui parlava Hegel descrivendo la sostanziale ininfluenza della filosofia: sono arrivati sul far della sera per descriverci com’era andata la giornata. E adesso che dire? E che fare? Possiamo intanto dire che è arrivato, se mai c’è stato, il nostro momento. Perché se l’economia governa il mondo (come ci hanno insegnato gli economisti), il diritto può governare l’economia (come ben sa ogni giurista).

È colpa di norme concepite male e scritte peggio oppure di norme scritte bene ma con finalità “scellerate” se siamo finiti in un “posto” (la UE e l’euro) in cui gli Stati sono depotenziati di ogni funzione, in cui gli organi investiti del ruolo di generare la liquidità non possono farlo e in cui entità con meri fini di speculazione e di lucro (le “Borse” e i “Mercati” venerati da troppi economisti o sedicenti tali) possono decidere chi vive e chi muore nell’eurozona. Prestando quattrini a discrezione, e solo dietro rigorosissime condizionalità, a Nazioni ridotte al rango di clochard della globalizzazione nell’era della competitività.

Ora, dopo aver detto ciò che c’era da dire, veniamo alla seconda domanda: che fare? Cambiamo le regole. O cominciamo a reinterpretarle secondo una ratio opposta a quella corrente. Spieghiamo – agli economisti, ai politici, ai comuni cittadini – che le regole possono essere cambiate e interpretate. E anche “come” possono essere cambiate e interpretate. Con creatività e coraggio, se del caso. E mai si è dato un “caso” più urgente di quello che abbiamo davanti agli occhi. È solo grazie a una nostra decisa, e definitiva, presa di posizione giuridica che il mondo potrà cambiare verso. Il nostro potere è immenso, ma lo abbiamo quasi sempre subìto più che esercitato. E allora, mettiamo mano alla “macchina” giuridica donde discendono le storture economiche, finanziarie e politiche da cui la Ue e l’euro sono patologicamente afflitte. Nessuno, più di noi, conosce la potenza di una regola. Se scendiamo in campo e iniziamo ad agire sulle “regole”, invertiremo il declino di una democrazia, e di una civiltà, al tramonto. Se non ora, quando?

Avv. Francesco Carraro

www.avvocatocarraro.it

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