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METTIAMOCELO IN TESLA

TESLAL’auto che si guida da sola ha fatto la prima vittima. Una Tesla Model, a timoniere computerizzato, ha interpretato malamente la sagoma di un tir col cassone bianco come la neve. Per l’auto bionica quella era la tinta del cielo mattutino, e così essa ha tirato dritto a un incrocio e si è schiantata contro un autotreno. A farne le spese, oltre ai circuiti robotici, il povero passeggero, un ex militare dei Navy Seal, tal Joshua Brown, sopravvissuto a chissà quante battaglie nel deserto e crepato per la presbiopia digitale di una vettura senza pilota. L’ennesima vittima sull’altare del progresso, direte. Dopotutto, la storia è lastricata di cadaveri caduti per il bene superiore della scienza e le sorti progressive dell’umanità. Può darsi, ma la notizia si presta anche a un’altra lettura, metaforica. Possiamo usarla come una favolosa allegoria del nostro tempo e dei suoi destini, forse foschi. L’uomo del duemila ha rinunciato a pilotare la macchina della sua polis, cioè a fare politica, demandandone i comandi e i processi applicativi a un’entità terza meglio nota sotto la dicitura plurale di Mercati. I Mercati sono gli unici, rispettatissimi players del gioco politico. E i mercati, proprio come l’autista distratto della Tesla, sono, in ultima analisi, software ultramoderni, agglomerati di chip al silicio in grado di processare miliardi di mega dati per frazione di secondo. Insomma, algoritmi avveniristici ultrarapidi nell’orchestrare la massa d’urto e l’onda brevissima, o lunga alla bisogna, delle speculazioni internazionali. I mercati decidono quali Stati nazionali possono vivere e quali devono morire nella roulette russa dei debiti sovrani. Da questo punto di vista, le avveniristiche trame di Matrix e di altri film cult di fantascienza le stiamo recitando proprio ora, proprio noi, proprio qui. I sedicenti rappresentanti del popoli, i vituperati politici, non contano più. Assistono alla guida altrui, esattamente come Joshua Brown. Le loro scelte non sono buone o cattive, giuste o sbagliate in quanto rispettose o meno di un programma frutto di priorità umane, e quindi di autentica politica. Lo sono solo nella misura in cui assecondano anzichenò i capricci di un calcolatore elettronico e le sue proiezioni di lucro sul casinò della finanza internazionale. Ormai, si potrebbe persino risparmiare sul ridicolo e costoso rito della consultazione elettorale. Che senso ha votare, se poi i mercati sanno (prima e meglio di noi) che cosa è giusto e buono per noi? Tanto vale far decidere le borse, sottoporgli il quesito alla sera e attendere, l’indomani, l’apertura degli indici di Tokyo. Fuor di metafora, siamo tutti passeggeri ininfluenti di una matrice, come Joshua Brown. E rischiamo di fare la sua stessa fine, non appena il programma deciderà qual è il tir giusto contro cui farci schiantare.

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