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ALLEGRI MA NON TROPPO

ALLEGRIPer una volta parliamo di minimi sistemi anziché di massimi, di gestione della vita quotidiana personale anziché dei destini generali del Paese. E parliamo anche di calcio per dire che c’è un allenatore in Italia un po’ sottovalutato il quale potrebbe servirci, in vista dell’anno nuovo, come dispensatore di qualche pillola di saggezza al posto dei soliti auguri, frusti e rituali. Parliamo di Massimiliano Allegri, il coach della Juventus il quale prese in eredità da Antonio Conte una squadra bianconera reduce da un triennio di vittorie per farla continuare su una linea quanto, se non più vincente del suo predecessore. Eppure, nonostante abbia vinto e nonostante ancora vincerà (magari persino la Champions), Allegri continuerà a passare per bravo ma non bello, in senso tattico ovviamente. E un pochino è anche vero. Tra i grandi allenatori della scuola italiana, Sacchi era molto più esteta di lui, Lippi molto più aggressivo, Conte molto più organizzato, Ancelotti molto più intenso. Ma a parte il fatto che Massimiliano vince sempre (e chi vince ha sempre ragione, dicono) c’è un aspetto di Allegri di cui pochi si sono accorti e che riguarda i contenuti delle sue interviste pre e post partita. Egli, oltre alle banalità di contorno cui tutti i protagonisti della serie A sono obbligati da contratto, vi inserisce sistematicamente tre concetti, nel senso che ripete a rotazione le stesse tre parole, sia pure declinandole in mille modi differenti, associandole ai più diversi concetti e impiegandoli nelle più svariate situazioni. Eccole: normalità, pazienza, miglioramento. Fateci caso. Per Allegri qualsiasi cosa accade è normale: è normale che un giocatore giochi bene o non giochi affatto, è normale che la squadra faccia punti o arranchi, è normale che gli avversari attacchino o si difendano. Tutto è riconducibile alla categoria della normalità che significa, poi, lontananza dagli estremi, medietas in senso oraziano, il fatidico giusto mezzo che ti impedisce di deprimerti o esaltarti oltre misura (venendo così punito o dai tuoi masochisti demoni interiori o dagli invidiosi dei del calcio). Per Allegri, poi, ci vuole sempre pazienza: pazienza in autunno quando la squadra non ingrana, pazienza in estate quando la società non compra il campione, pazienza col campione che non segna, pazienza col giovane che non diventa mai campione. Ebbene, proprio la pazienza è la cifra delle imprese straordinarie perché significa non mollare mai il punto, mai arrendersi, mai alzare bandiera bianca e aspettare che la buriana passi per piantare il tuo vessillo sulla vetta. Infine, per Allegri bisogna migliorare: deve migliorare la squadra quando vince, deve migliorare l’allenatore quando perde, deve migliorare l’arbitro quando sbaglia, devono i migliorare i ragazzi tecnicamente, tatticamente, nell’ultimo passaggio. È il terzo anello del successo: non competere con gli altri, ma con se stessi, incrementando la spirale ascendente del proprio percorso professionale, umano, esistenziale. Concludendo, se volete una sintesi straordinariamente precisa per una buona vita, a Natale lasciate perdere i libri dei guru del mindfulness o della motivazione. Raccattate un po’ di interviste ad Allegri sulla Gazzetta o su Tuttosport. C’è più o meno tutto: buona normalità, buona pazienza e buon miglioramento per tutti.

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